domenica 9 agosto 2009
Mi è sempre piaciuto arrampicare, non sono mai stato un fuoriclasse, ma le mie soddisfazioni me le sono prese, sia in montagna che in falesia. Ho sempre preferito le vie non estremamente difficili, perché penso che superare una parete sia un piacere e non una sofferenza. Ho cercato, invece, le salite esteticamente particolari, con grandi panorami e con un ambiente fatto di rocce che mi dicevano qualcosa.
Facendo un po’ di calcoli, ho realizzato che sono circa 15 anni che non arrampico, sia per motivi di famiglia, sia perché ho sempre pensato che la compagnia sia fondamentale in questa attività: va bene il posto, va bene la via ma tutto dipende con chi sali. E se non hai i compagni giusti, è meglio lasciar perdere.
Hanno, a mio parere, una grande importanza, le discussioni fatte alla base della parete, le chiacchiere scambiate su qualche terrazzino ben strapiombante, gli scherzi e le risate quando ti incasini e non riesci a muoverti magari su quel passaggio facile di 3° grado…
Tutto questo preambolo perché oggi, approfittando della bella giornata, sono andato a fare una passeggiata dalle parti di Santa Croce. Ho fatto qualche bella foto agli edifici dei nuovi filtri (quelli costruiti nel 1900 a potenziamento dell’acquedotto di Aurisina), ho camminato un po’ per i sentieri della zona, finché non ho incontrato Gubi e Sid che erano in zona per arrampicare. Ovviamente non si è trattato di una caso fortuito, in quanto sapevo che probabilmente li avrei incontrati da quelle parti, anche prima che mi arrivasse un messaggino di conferma. Ho potuto così vedere i miei giovani consoci cimentarsi in qualche breve salita sulle pareti attrezzate proprio sopra la linea ferroviaria, sotto il paese di Santa Croce. Vie che mi sono sembrate relativamente facili ed abbordabili, meno un tettino ed alcune placche che mi hanno ispirato una certa difficoltà.
Ho anche avuto una mezza idea di portare le scarpette (che ho ritrovato qualche settimana fa dopo anni di inutilizzo), ma per questa volta ho preferito solo guardare. Ho così potuto osservare che le attrezzature sono un po’ cambiate: la corda di 60 m ai miei tempi non si usava (non più di 40 m) ed anche i mezzi di sicura non sono più gli stessi. Per il resto, invece, tutto è rimasto eguale: il rito dell’indossare le scarpette, il legarsi attentamente alla corda, il fissare i moschettoni all’imbrago e partire, cercando di leggere la roccia e trovare la via più facile di salita…
Un po’ di nostalgia, ma la prossima volta prometto che porterò le scarpette e se troverò qualcuno disposto a farmi sicura, proverò qualche passaggio. Il mitico Riccardo Cassin (morto proprio qualche giorno fa) ha arrampicato su vie di una certa difficoltà fino ad oltre 80 anni e perché non posso farlo anch’io? Manca l’allenamento, gli acciacchi si fanno sentire, ma fino al 4° grado penso di riuscire a passare ancora. Certo, qualcuno mi dirà che oggi il 4° grado è cosa da femminucce, ma io sono ancora attaccato alla vecchia codifica. Trenta anni fa il massimo raggiungibile era il 6° grado e chi si avvicinava a queste difficoltà era bravo. Non è certo colpa mia se qualche “drago” è arrivato oggi a superare il 9° grado…

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domenica 12 luglio 2009
E’ effettivamente da un po’ di tempo che non aggiorno il mio blog. Si tratta, probabilmente, di un momento di stasi nella voglia di scrivere, oppure altri progetti ed altre situazioni hanno occupato di più la mia mente ed il mio tempo.
Non ho mai pensato, però, di interrompere questa strana avventura, per cui mi sono fatto forza e ho deciso di riprendere con i post. Ovviamente, il problema era: da dove ripartire? Solo questo dilemma mi ha fatto perdere qualche giorno. Posso parlare di grotte, di sotterranei, ma anche di avventure in montagna, di amici e di tempi andati. Quale argomento affrontare? Lo spunto mi è venuto, improvvisamente, dopo una gita che ho fatto domenica. La giornata era splendida e calda e non potevo certo rimanere chiuso in casa. Quindi ho preso il motorino e sono partito per il Carso. Quasi per caso mi sono ritrovato al confine ed ho continuato in territorio sloveno, ammirando il panorama dell’altipiano in piena fioritura primaverile. E’ così che sono arrivato a San Canziano. Per uno speleologo si tratta, sicuramente, di un vero e proprio tempio dedicato alle grotte ed alle forze naturali che modellano il territorio. Ho così posteggiato il mio fidato scooter ed ho iniziato una visita di quei luoghi. In quest’occasione non sono sceso nella grotta turistica (ci sono già stato varie volte) ma ho preferito passeggiare per i dintorni. Devo dire che il contatto con la grande voragine dove scorre il Timavo, nonostante siano passati vari anni dall’ultima volta, è stato come al solito di una certa intensità.
Non riesco a vedere quelle rocce, quel vuoto, come qualcosa di normale, come una qualsiasi parete che possiamo trovare in montagna. Qui è stato un fiume che, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, si è scavato il suo percorso sempre più dentro al terreno, sempre di più al centro della roccia. Forse le persone comuni apprezzano solamente il bel panorama, ma chi ha un minimo di infarinatura di geologia e carsismo, non può rimanere indifferente a questo fenomeno naturale. Se ci pensi bene, è qualcosa di troppo grande, di troppo imponente. Milioni di metri cubi di calcare asportati, granello dopo granello, da un fiume che, in fin dei conti, non ha certo una portata esagerata. Poco più di un torrentello, che è riuscito ad insinuarsi lentamente nel cuore dell’altopiano. Noi speleologi, questo fiume l’abbiamo ritrovato nella caverna dell’abisso di Trebiciano (effettivamente è stato Lindner a trovarlo, ma anche noi ci siamo prodigati, recentemente, in questa grotta...) ed altri lo stanno ancora cercando nella profondità calcarea (come alla Luftloch…), ma in verità non conosciamo quasi nulla del suo percorso sotterraneo. Chilometri e chilometri di gallerie, di fessure allagate, di passaggi sommersi, fino a risalire alla luce del sole nei pressi di Duino. Sono cose che se guardate con l’occhio giusto, ti danno la misura della grandezza e della complessità dei fenomeni naturali.
Dopo aver pensato questo, e dopo aver percorso in lungo e in largo il piccolo paese di Škocjan (dove mi sono soffermato ad osservare la chiesetta, la piccola cisterna, gli architravi scolpiti dei portoni, alcune iscrizioni…) sono ritornato a casa con la volontà di visitare nuovamente, e meglio, questi posti. Siamo a pochi chilometri dal confine, ma la sensazione del paesaggio è completamente diversa, più aperta rispetto al Carso triestino.
La visita a San Canziano mi ha fornito, comunque, l’ispirazione per scrivere nuovamente qualcosa, e speriamo che la voglia, questa volta, non passi.
Un saluto al prossimo post.

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martedì 23 giugno 2009
Agli inizi degli anni ’80, c’era un grande fermento in campo speleo/alpinistico: alle attività rigidamente catalogate presenti fino allora, si stavano affiancando una serie di nuove discipline parallele, come il torrentismo, l’arrampicata su ghiaccio, la progressione in artificiale (si spittava qualsiasi strapiombo…) o l’arrampicata libera, che era qualcosa di completamente diverso rispetto all’alpinismo classico di montagna. Chi era giovane, sperimentava tutte le specialità che si proponevano e questo desiderio di provare coinvolgeva anche i vari sport della neve. Si girava per i boschi con le ciaspe, si usciva fuori pista con gli sci, si provavano nuove tecniche (come ad esempio il “monosci”, oggi completamente dimenticato ma vero precursore dello snowboard). Una disciplina, alquanto estrema, che allora aveva preso piede era anche lo “sci ruvido”. Si trattava, semplicemente, di scendere ripidi pendii con gli sci, ma in completa assenza di neve. Si sciava quindi sui ghiaioni, sull’erba, fra le pietre, con salti e volteggi che io ho considerato sempre estremamente pericolosi. Come avrete capito, questa non è stata una disciplina di discesa che ho abbracciato (non sono mai stato un grande sciatore), ma mi sono sempre divertito a fare foto ai miei amici sui pendii del Carso.
Curiosamente, non solo ho visto pochissimi feriti ma anche i materiali (vedi sci) si deterioravano molto di meno di quanto ci si possa immaginare….
La foto ritrae un socio SAS (non riporto il nome per motivi di privacy, ma penso che il soggetto sia facilmente identificabile) mentre balza coraggiosamente lungo i ghiaioni della Val Rosandra. Se oggi qualcuno facesse la stessa cosa, verrebbe chiamata immediatamente la Polizia, per l’immediato arresto del “pazzo scatenato”…

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sabato 9 maggio 2009
Qualche volta mi ritengo una persona fortunata. Ho conosciuto molti amici ed ho visto molti posti, specialmente legati alla mia personale passione per il sottosuolo. Ho così deciso di aprire una piccola rassegna su alcuni sotterranei che ho visitato in giro per l’Italia e che ritengo particolarmente interessanti.
Partirò con alcune cavità che ho percorso nel lontano 2004, nei pressi della bellissima cittadina di Castell’Azzara (Grosseto), alle falde del monte Amiata. Ovviamente, vista la località, si tratta di miniere. Come spesso succede, si è sempre attratti da quello che non si ha e quindi, essendo la nostra regione non proprio ricca di miniere (in realtà le miniere ci sono, eccome, ma non con le caratteristiche di quelle toscane…) mi sono lasciato incantare da quelle particolari gallerie.
Mi ricordo bene di due sistemi estrattivi. Del primo rammento anche il nome “Miniera del Siele”, impianto che ha coltivato il giacimento cinabrifero più ricco del comprensorio amiatino, con tenori del minerale fino al 38% in mercurio. Aperto nel 1846 e chiuso nel 1981, il complesso è stato poi restaurato e tutti gli edifici ed i posti di lavorazione sono stati recuperati ad uso del Parco Museo Minerario dell'Amiata. Molto imponenti si sono dimostrate le strutture tecniche ancora presenti ma, a causa delle grandi piogge - purtroppo - solo un piccolo tratto delle lunghe gallerie era al momento accessibile. Mi hanno impressionato, però, i cunicoli di drenaggio che sono stati realizzati per far passare un torrente proprio sotto all’area degli impianti della miniera. Divenuto detto torrente scomodo al lavoro dello stabilimento, è stato semplicemente interrato all’interno di due lunghe gallerie a sezione quasi circolare, realizzate con rivestimento in mattoni. Vi assicuro che tutti quegli elementi di terracotta, ognuno con il proprio colore, i riflessi del torrente che scorreva sul fondo ed il rumore dell’acqua (in verità poca, nonostante la tanta pioggia) sono stati tutti elementi particolarmente suggestivi.
Sempre nelle immediate vicinanze, ho avuto l’occasione di visitare anche un secondo tipo di miniera. In questo caso ho potuto fare un salto indietro nel tempo di qualche migliaio d’anni, in quanto si trattava di gallerie di origine etrusca (ecco perché sopra ho affermato che da noi le miniere hanno altre caratteristiche…). Scesi lungo un fosso, seguendo un torrente, abbiamo iniziato a vedere delle imboccature che si aprivano ai lati. Anche in questo caso il posto era particolarmente affascinante: la ricca vegetazione, l’acqua che scorreva abbondante sul fondo della valletta ma anche lungo le pareti laterali, gli stretti ingressi che si inoltravano nella roccia scura, avevano un qualcosa di magico, di fiabesco. All’interno, le gallerie non era ne particolarmente estese ne con caratteristiche costruttive eccezionali, ma si poteva respirare l’atmosfera dei secoli trascorsi e sembrava quasi che il tempo passato potesse annullarsi e che, dietro una curva del cunicolo, potesse apparire un signore in abiti strani e con una lucerna in mano… direttamente dalla sua epoca proiettato nella nostra…
In realtà questo non è successo, tranquillizzatevi, ma l’effetto complessivo - vi assicuro - c’era veramente.
Per gli amanti delle miniere, la Toscana è sicuramente una tappa d’obbligo, anche se la Sardegna non scherza… ma di questo parleremo quanto prima.

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lunedì 2 marzo 2009
Ieri ho avuto il piacere di ricevere un messaggio da parte di un amico riguardante il mio blog. Il messaggio diceva esattamente “Trovare il tempo, la passione e la capacità di cristallizare il passato per gli amici e per i nostri figli è altrettanto bello che vivere quelle esperienze in prima persona. Nel caso tuo, caro Paolo, sei riuscito a farle entrambe. Congratulazioni ed una punta di sana invidia dall'amico Fabio”.
Devo dire che si tratta di un commento che mi ha particolarmente gratificato, perché - in qualche modo - riflette le mie intenzioni e le mie speranze.
Ci sono innumerevoli blog nella rete e la maggior parte di questi, come ho già avuto occasione di dire, è completamente inutile. Io ho iniziato a scrivere non perché era “moderno” avere uno spazio personale in rete, ma perché pensavo - e speravo - che poteva essere una buona occasione per non disperdere la memoria. Detta così, con questi paroloni, sembra quasi una cosa solenne e di vitale importanza. In verità il ragionamento è molto semplice: penso che quello che viviamo oggi sia la diretta conseguenza di quello che è stato ieri; penso che quello che è stato fatto dai nostri predecessori influisca, comunque ed in ogni caso, su quello che oggi stiamo facendo; penso che non c’è un reale futuro se non si parte da un’analisi attenta ed onesta del passato.
Questo succede nei grandi sistemi, ma anche nei piccoli mondi che coinvolgono ridotte comunità di persone. Penso, allora, che sia giusto che i giovani sappiano cosa è stato fatto da quelli più “anziani”, perché è proprio da li che si deve partire. Se guardiamo al mondo speleologico ed esplorativo in generale, oltre ad una parte di svago e di puro divertimento, c’è anche una sostanziale componente legata alla ricerca, alla conoscenza ed alla curiosità, aspetti che non possiamo (e dobbiamo) sottovalutare. Il racconto degli avvenimenti passati può quindi assumere nuovi significati. Ecco che le memorie di un “vecchio” possono fornire nuove idee e stimoli ai più giovani. Chi poi è stato protagonista, diretto o indiretto, delle vicende descritte, potrà ritornare a quei tempi e rivivere le varie esperienze vissute allora.
Per questo motivo, ovviamente scherzando, mi autodefinisco “cultore del passato” o “raccoglitore di memorie”. E’ un modo ironico per affermare come la conoscenza di ciò che è stato può aiutare quello che si sta avviando oggi, come gli sbagli o i successi di chi ci ha preceduto (anche solo di qualche decina d’anni) possono essere il punto di partenza per continuare lungo lo stesso percorso.
E poi diciamolo, a me piace scribacchiare e se qualcuno anche legge ed apprezza, è ancora meglio. Un saluto a tutti ed in particolare all’amico Fabio.

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domenica 22 febbraio 2009
Dopo un pomeriggio di lavori a SMM, ci siamo trovati, io e Marco, davanti a qualche bel bicchiere di Spritz Aperol ed abbiamo chiacchierato di speleologia e della nostra personale visione su questo argomento.
E’ stato veramente interessante. Abbiamo parlato delle grandi potenzialità che può offrire l’attività speleologica agli appassionati, che - se attenti - possono venir coinvolti in meccanismi e ragionamenti affascinanti e seducenti.
Lo studio delle grotte permette di immergersi nelle ere geologiche, che durano milioni di anni. Lo studio delle cavità artificiali comporta, invece, il confrontarsi con gli ultimi millenni di storia. Due scale temporali diverse, ma entrambe interessanti e degne di attenzione. Se consideriamo la chiave di lettura che ruota attorno alla continua modificazione a cui viene incessantemente sottoposto il territorio (e qui emerge l’anima del geografo che è sempre presente in tutti gli speleologi), possiamo vedere come, seppur con ordini di tempo completamente diversi, il ragionamento sia - alla fine - sempre lo stesso. La natura ha modificato il territorio (in particolare se in presenza di rocce carbonatiche e carsificabili) con l’azione dell’acqua, lo scavo di grotte, la creazione di solchi fluviali, di doline, di polje, ecc. Con occhio attento ed un po’ di preparazione è facile leggere questi segni ed ogni panorama diventerà allora un’immagine non statica ma dinamica: quello che si vede oggi è semplicemente il risultato della “sottrazione” di qualcosa, del lavoro costante ed inarrestabile dell’acqua (e non solo…), che ha scavato, piallato ed inciso il terreno sul quale scorreva. Fenomeni lunghi milioni di anni, ere geologiche per noi difficilmente comprensibili nella loro reale durata, cicli lenti ma inesorabili.
Allo stesso tempo, sempre in un’ottica di modificazione del territorio, anche l’azione antropica ha lasciato il suo segno. L’uomo, da quando ha deciso di fondare i suoi primi insediamenti stabili, ha iniziato a scavare canali, costruire edifici e strutture, a realizzare terrapieni, a trasformare paludi e terreni sassosi in campi da coltivare. Per quanto riguarda la speleologia, poi, l’uomo ha iniziato anche a scavare cavità artificiali con varie morfologie e per varie motivazioni. La scala cambia, i milioni di anni diventano millenni, ma il concetto di base rimane lo stesso: il territorio che vediamo oggi è semplicemente la conseguenza dell’azione di grandi ed innarestabili forze (quelle naturali) e di piccoli e circoscritti interventi (quelli umani) che hanno plasmato le pianure, le colline, gli altopiani (in particolar modo quelli carsici) e le montagne, fino ad arrivare al panorama che possiamo vedere oggi. Ma questi meccanismi sono ancora in azione. Siamo sempre in una fase di transizione, domani sarà già cambiato qualcosa. Noi, piccoli uomini, abbiamo facilità a riconoscere i minuscoli interventi (è sempre una questione di scala…) legati alle necessità della vita quotidiana, la nuova strada che viene costruita, la nuova galleria, il nuovo edificio, ma dobbiamo pensare che queste modificazioni del territorio sono ben poca cosa (e di durata totalmente trascurabile) rispetto ai fenomeni della modellazione naturale.
Speleologicamente parlando, c’è poi da considerare anche l’elemento non trascurabile dato dalla presenza dell’uomo, che inizialmente ha utilizzato le grotte come ricovero e abitazione, e che molti secoli dopo ha esplorato le stesse grotte domandandosi cosa potesse nascondersi nel buio delle caverne e affrontando l’ignoto in tempi nei quali le conoscenze e le tecniche di progressione erano certamente ben diverse da quelle disponibili oggigiorno. Nel caso delle cavità artificiali, è stato addirittura l’uomo che, ad un certo punto, ha deciso di scavare un passaggio, un pozzo, una cantina profonda perché, anche se questo comportava fatica (e quindi un costo) valeva comunque la pena di ricavare ed utilizzare quel piccolo pezzetto di roccia “piena” trasformandolo in un “vuoto” accessibile e disponibile. L’uomo ha poi frequentato e “vissuto” questi vani sotterranei ed è estremamente stimolante visitare una cavità artificiale pensando a quelli che sono passati prima di noi, cercando di immedesimarsi in chi questi ambienti non li percorsi per capire e conoscere, ma solo per rispondere ad elementari esigenze di vita e di lavoro.
Dopo l’ultimo bicchiere, ci siamo salutati, io e Marco, convinti che la speleologia sia proprio una gran bella attività, ricca di spunti, di possibili considerazioni e – talvolta – di strani pensieri. Ho quindi ritenuto utile fissare questi concetti in un appunto, che è quello che vi propongo oggi.
Buona speleologia a tutti.

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lunedì 16 febbraio 2009
Su segnalazione di Federico, ho recuperato un altro film che è stato girato in grotta, anche se in questo caso l’ambiente sotterraneo si limita ad essere un semplice contorno indefinito, che si intravede appena, di una vicenda truculenta che si svolge per lo più nel buio più profondo. Il titolo è chiaro “The cavern” (2005) ed il regista è un certo Olatunde Osunsanmi.
Bisogna dire che rispetto a “The descent” e “The cave”, questo film è sicuramente il peggiore, con pochi effetti ed una costruzione complessiva alquanto inadeguata. Ma vediamo alcuni aspetti curiosi di questa produzione. Il tutto si svolge in Russia, e più precisamente nel Kyzyl Kum Desert (??), ed i protagonisti sono “speleologi professionisti” americani. L’attrezzatura personale è scarsa, anche se la modernità traspare dall’uso dell’illuminazione elettrica sul casco. Per i dislivelli verticali si usano le corde, ma ogni membro della spedizione utilizza un discensore diverso, nessuno di tipo speleologico. Interessante il fatto che, non appena terminata la discesa, invece di gridare il consueto “libera” viene urlato “via alle corde”, espressione alquanto strana. Vi è poi da osservare che alcuni speleo hanno portato con se anche delle pistole, ma questa circostanza - pur se improbabile - è comunque funzionale alla trama del film.
Merita anche soffermarsi su alcuni dialoghi, che risultano estremamente interessanti. Ad esempio, alla domanda “Cosa c’è nel sottosuolo?” la risposta è “Nelle grotte c’è qualcosa di vivo, c’è qualcosa la sotto con la quale se siamo aperti possiamo connetterci”. Curioso ed intrigante. “Perché si va la sotto, allora?” La risposta del capo spedizione è: “Mi piace esplorare, tutti sanno come sono le montagne più alte, i mari più profondi, ma le grotte sono l’ultima frontiera inesplorata della terra, non c’è nulla di più eccitante”. Ovviamente, di situazioni eccitanti, i protagonisti, ne troveranno a sufficienza ed avranno occasione di incontrare anche un essere oscuro, mostro cattivissimo oppure lui stesso vittima di un destino crudele? Non anticipo altro. Vi dico soltanto che alla fine, le due uniche speleologhe donne, si trovano nude nella caverna e …
Si tratta di un orror dalla fotografia insulsa, attori scarsi, trama deludente e finale banale. Se non l’avete visto, non avete perso niente.
Per finire una piccola anticipazione: sta per uscire “Descent 2”, chissà se sarà migliore del primo??

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domenica 18 gennaio 2009
Sono stato sgridato perché, troppo spesso, i miei racconti trattano di temi tristi e di paura. Per rimediare a questo, ho scritto il testo seguente che, nelle mie speranze, dovrebbe in parte rimediare alle piccole critiche ricevute. Anche questo è dedicato ad una mia amica, che inevitabilmente si riconoscerà nel personaggio.

Giara si svegliò all’improvviso, con un sussulto. Ricordava perfettamente quello che era successo: stava scendendo lungo una fessura non strettissima, ma sicuramente meno larga di quello che lei avrebbe voluto. Non era intimorita dai passaggi che presentavano sezioni ridotte, ma se poteva evitarli, era meglio. Così, un po’ controvoglia, si era infilata in quella spaccatura, per vedere se c’era una continuazione. Gli altri, fuori, ridevano e la prendevano in giro perché procedeva lentamente e con attenzione, ma piombò improvvisamente il silenzio quando la prima pietra iniziò a rotolare. Un rumore sordo di frana, tanta polvere e sassi che rimbalzavano da tutte le parti. La ragazza ebbe la sensazione di essere stata colpita da un masso un po’ più grande degli altri, poi si sentì come soffocare e lentamente perse i sensi.
Aprendo gli occhi, Giara pensò che era tutto finito, nel senso che quello che vedeva non poteva corrispondere alla situazione nella quale si trovava realmente. Era svenuta all’interno di una stretta fessura, fra terra e pietre rotolanti, ed ora si risvegliava in un ambiente dall’aria tiepida e tersa, pervaso da una luce azzurrina e soffusa. Guardandosi attorno poteva vedere un pavimento liscio e quasi trasparente, delle pareti formate da cristalli multicolori e, cosa straordinaria, degli strani tendaggi di tessuto soffice e cangiante. “E’ il paradiso” pensò, “cosa altro può essere?”
Questa considerazione prese ancora più consistenza quando apparvero le due figure. Lei era di una bellezza assoluta, aggraziata, sinuosa, perfetta nelle sue forme. Lui, d’altro canto, non era da meno. Biondo, capelli lunghi, dal fisico forte e proporzionato. Entrambi erano vestiti - in verità ben poco vestiti - con indumenti che sembravano essere ricavati da velluti e broccati, morbidi e rilucenti. Davanti a queste fantastiche figure, Giara pensò che se era veramente in paradiso, quei due dovevano essere degli angeli.
Poi, il ragazzo biondo e alto iniziò a parlare “Ciao Giara. Noi sappiamo tutto di te, sappiamo quasi tutto di quello che succede fuori… Non entriamo mai in contatto con gli esseri della luce, gli umani che vivono sotto il sole e poche volte visitiamo il vostro mondo, ma nel tuo caso non abbiamo avuto scelta. Eri in difficoltà, rischiavi di morire e quindi siamo intervenuti. Noi viviamo da sempre nel mondo nascosto dei cristalli, scavato nelle viscere della terra. Vegliamo su di voi e sulle vostre azioni, però lo facciamo con estrema discrezione, non ci facciamo vedere se non è strettamente necessario. Quelle poche volte che vi siamo apparsi ci avete dato i nomi più fantasiosi, ci avete chiamati dei, angeli, fate, creature celesti, spiriti dei boschi. Per noi è lo stesso, va benissimo che nascano leggende romantiche sulla nostra esistenza, basta che nessun umano venga a conoscenza del nostro mondo e di come potervi accedere. E qui sorgono dei problemi…”.
Con voce suadente continuò: “Ora tu puoi scegliere. O rimanere con noi, per sempre ma senza alcun contatto con il mondo di prima, dimenticando amici, famiglia e la vita di ogni giorno, oppure ti possiamo far ritornare da dove sei venuta, ma scorderai completamente tutto quello che hai visto. E’ una tua scelta, che devi valutare con attenzione…”
Giara osservò con interesse le due figure che aveva davanti, la ragazza era bellissima e sorrideva. Il ragazzo era altrettanto bello, con i suoi occhi azzurri e l’espressione profonda. La fissava intensamente e, chissà perché, Giara pensò che se fosse rimasta in quel mondo incantato, forse, la loro intesa si sarebbe fatta più profonda ed intensa. Allo stesso tempo pensò al ragazzo che aveva lasciato fuori, nel mondo della luce, che proprio in quel momento si stava preoccupando per la sua sorte. Sorrise quasi pensando che, più che una scelta fra due mondi, fra due universi così diversi, lei stava quasi facendo una scelta fra un ragazzo moro ed un ragazzo biondo, fra una storia che fino a quel momento aveva avuto anche tanti momenti felici ed un’altra possibile storia tutta da vivere e costruire…
Era veramente indecisa, perché la scelta era troppo grande ed improvvisa. Pensò agli anni trascorsi fino al quel momento ed a tutte le cose, belle e brutte, che aveva visto. Cercò di immaginarsi anche quella che avrebbe potuto essere la sua nuova vita se avesse scelto quello strano mondo, consapevole che, al momento, nulla aveva conosciuto se non l’atmosfera serena e luminosa del locale dove si trovava e la presenza di quei due esseri quasi irreali che aveva davanti.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, ma nella sua mente rotolavano tante immagini, frammenti di avvenimenti, luoghi e visi in un caleidoscopio vorticoso e multicolore. Poi, con fermezza, senza capire da dove provenisse tutta quella sicurezza interiore, Giara esclamò “Io voglio ritornare al mio mondo, alla mia vita, a tutto quello che ho amato ed odiato fino ad oggi, alla mia unica ed insostituibile esistenza!”
Il ragazzo sorrise e non sembrò meravigliato da quella scelta. Conosceva bene gli uomini e sapeva cosa - alla fine - era importante per loro. La fissò e con voce armoniosa disse “E così sia…”
Giara si svegliò in una posizione strana e scomoda, distesa su un pavimento umido di sassi e fango. Si alzò subito in piedi e si ricordò immediatamente della frana, delle pietre che cadevano e l’investivano. Si guardò attorno, ma non vide alcuna fessura e nemmeno le tracce di una recente frana. Cosa era successo in realtà? Avanzò lentamente, alla luce della sua lampada elettrica, e - sentendo alcune voci in lontananza - si incamminò in quella direzione. Superata una curva della galleria, apparve ai suoi occhi una scena animata dove varie persone stavano scavando alacremente all’interno di una fessura intasata da massi. Quando lei apparve, all’improvviso, tutti si voltarono e rimasero in silenzio. Non era possibile! Giara doveva stare dall’altra parte della frana, magari travolta dal crollo, ed invece era lì, in piedi, che li fissava. Il primo a scuotersi fu il suo ragazzo, che le corse incontro per abbracciarla.
Giara era felice e, anche se non capiva bene la situazione, era contenta di stringersi a lui. Aveva la mente leggermente confusa, con strane visioni di cristalli colorati, di luci soffuse, di volti bellissimi e rassicuranti. Le risuonavano nella testa parole come fate, spiriti, dei, angeli... Ma non si preoccupò più di tanto, perché l’abbraccio forte del “SUO” angelo dai capelli lunghi e neri era l’unica cosa che contava in quel momento.

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posted by Paolo at 18:24 | 3 comments
domenica 4 gennaio 2009
Se girovagando per il Carso ho spesso documentato grotte, cavità artificiali e “casite”, talvolta mi sono imbattuto anche in particolari ritrovamenti: mi riferisco ai “cippi”, monoliti di varie dimensioni infissi nel terreno e recanti specifiche iscrizioni. Non mi considero un esperto in questo campo e devo dire che l’argomento è abbastanza complesso, in quanto i cippi sono sempre legati a singoli avvenimenti storici o a precise funzioni confinarie. Bisogna quindi collegare la presenza di queste pietre a limiti territoriali in essere secoli fa, oppure ad avvenimenti oramai dimenticati, e questo non è sempre facile.
Vi sono poi i cippi dedicati ai vari interventi di rimboschimento e devo dire che ne ho scovati parecchi appartenenti a questa tipologia. Come già accennato parlando di casite, penso che anche questi piccoli monumenti siano più che degni di un’adeguata cura e conservazione e, quando alcuni sono stati letteralmente divelti, caricati e trasportati in qualche giardino privato, il fatto mi ha dato molto fastidio. Non è che posso considerare queste pietre come una cosa mia, ovviamente, ma allo stesso tempo non sono nemmeno (questo è sicuro) proprietà di altri. Quindi, secondo me, i cippi devono rimanere al loro posto originale, nel punto dove sono stati piantati quale segno di qualcosa che solo li, in quella precisa posizione, assume il proprio reale valore.

Nella fotografia, alcuni esempi di cippi rinvenibili in Carso (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 12:06 | 1 comments
martedì 30 dicembre 2008
Sono finalmente arrivate le Feste… Visto il mio carattere scorbutico e preso atto della mia predisposizione ad un comportamento schivo e tendenzialmente “selvatico”, eccomi nuovamente a brontolare su questo periodo di gioie forzate e di falsi compiacimenti. Mi spiego meglio, perché l’argomento è delicato e non voglio offendere nessuno. La festività del Natale ha sicuramente un’indiscutibile valenza religiosa ed una notevole importanza per chi crede e vive consapevolmente la propria sfera spirituale. Su questo nulla da dire, ma devo osservare che sono ben pochi quelli che sentono questi giorni in un contesto “di vera fede” e sono tantissimi, invece, quelli che si fanno coinvolgere solamente dagli aspetti più commerciali e folcloristici della ricorrenza. Regali a tutti i costi, falsi perbenismi, un indistinto sentimento di “buonismo” forzato ed a tutti i costi... Sarò controcorrente, ma non mi piace questa atmosfera. Alla televisione si ripropongono film melensi e già visti cento volte, le strade brillano di costose luminarie, tutti corrono nei negozi per acquistare doni e strenne, tutti sono inevitabilmente felici, mentre l’economia va letteralmente a gambe all’aria, si profilano all’orizzonte licenziamenti e cassa integrazione e lo stipendio non basta più per arrivare a fine mese. Vero momento di comprensione e di consapevolezza del messaggio profondo del Natale, oppure occasione commercialmente forzata per rendere la gente, suo malgrado, stupidamente felice? Io propendo, tristemente, per la seconda ipotesi.
Altro discorso, invece, è quello legato alla festività del Capodanno. La preferisco perché la considero una ricorrenza più legata al tempo che passa, allo scorrere delle stagioni, ad un concetto di “ciclo naturale”. E’ un momento per tirare qualche piccola somma, per fare un bilancio personale e per pianificare l’immediato futuro. La chiusura di un anno permette di analizzare quanto di positivo c’è stato, di valutare gli eventuali errori, di ripensare ai propri comportamenti ed alle proprie scelte. L’inizio di un nuovo anno permette, nel contempo, di proporsi nuovi obiettivi ed inediti traguardi.
Speleologicamente parlando, ad esempio, per me il 2008 è stato un buon anno, ho fatto alcuni lavori di soddisfazione (Teresiano, Sotterranei dei Gesuiti, …) , ho visto bei posti con tante cavità (Campania, Toscana, Lazio, …), ho frequentato gente simpatica e, quindi, non mi posso lamentare. Spero che il 2009, partendo da tutto questo, permetta la continuazione di quanto già avviato, con ulteriori piccoli successi e tanti progetti interessanti e costruttivi da realizzare.
Se dalle pagine di questo blog non ho augurato a nessuno il Buon Natale (chi ci teneva, mi perdoni), colgo l’occasione (anche sulla base dei ragionamenti sopra riportati) di augurare, invece, un Buon Anno Nuovo. Che il 2009 sia per voi un periodo di serenità e di consapevolezza. Che la salute sia buona e tanta la voglia di fare. Che i vostri piccoli obiettivi vengano raggiunti, non solo per il risultato finale, ma anche per il percorso di attenzione e di impegno che essi comportano. Vi auguro grandi gioie nel campo degli affetti: trovatevi un compagno/a e vogliatevi bene, appagatevi nell’intimo scambio di parole, pensieri, sentimenti e “cocolezzi” ed aggiungete un pizzico di buon sesso che non fa mai male. Chi il compagno/a c’è l’ha già, se lo tenga stretto, godete delle piccole cose che fanno grande una coppia e dimenticate tutte le altre piccole cose che possono farla scoppiare. Amore è comprendere ed apprezzare anche gli aspetti negativi dell’altro, non solo quelli positivi. Cercate, poi, di essere sempre consapevoli di quello che siete e di quello che fate. Tutto pesa nella vita, parole, gesti e pensieri, e quindi siate coscienti delle vostre azioni e di quello che ne consegue. Cercate, inoltre, di essere aperti agli altri e alle cose nuove, e quindi “sperimentate, sempre e comunque…”. Per finire, vi auguro anche un buon anno sotto l’aspetto speleologico. Che il sottosuolo vi dia tutte le soddisfazioni che meritate, sempre se il “mondo di sotto” si configura come una delle vie lungo le quali cercate una parte della vostra realizzazione.

Riassumendo, un grande augurio per uno splendido, felice e fantasmagorico 2009 a tutti voi.

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posted by Paolo at 07:04 | 0 comments
domenica 28 dicembre 2008
Penso che tutti, camminando per il nostro Carso, si siano imbattuti - prima o poi - in qualche particolare costruzione di pietra, dall’aspetto strano e quasi misterioso. Se si cerca un po’ nei libri, però, è facile verificare come dette costruzioni, chiamate tecnicamente “casite”, non siano altro che semplici ripari per i contadini che dovevano lavorare nei campi lontano da casa. Contrariamente a quello che si può pensare, non sono opere molto antiche (avranno al massimo qualche secolo) e sono state realizzate utilizzando le tante pietre che venivano levate dalle campagne e di norma accumulate in grandi mucchi o nei muretti.
Vi sono varie tipologie, tutte codificate, di queste costruzioni che considerano se la casita è isolata o attaccato ad un muro, oppure se la pianta è circolare o quadrata, analizzando tutte le altre varie caratteristiche costruttive come il tipo di copertura, la presenza di finestre, le particolarità dell’ingresso, ecc.
Queste costruzioni sono diffuse non solo sul nostro Carso, nella vicina Istria ed in Dalmazia, ma anche in Puglia, Francia, Spagna ed in Grecia (direi quasi in tutti i paesi del Mediterraneo).
Ovviamente, essendo costruzioni legate all’agricoltura ed alla pastorizia, oggi sono in grande maggioranza abbandonate e rischiano letteralmente di scomparire. Io, durante le mie camminate in Carso in cerca di grotte, ho spesso incontrato queste strane costruzioni e, se possibile, ogni volta ho fatto il posizionamento con il GPS ed almeno una fotografia di documentazione. Ritornando negli stessi luoghi, ho scoperto che a distanza di qualche anno alcune casite erano letteralmente scomparse, perché crollate e quasi mimetizzate con le pietraie circostanti.
E’ un peccato che questi piccoli ripari continuino a scomparire inesorabilmente, nella completa noncuranza di tutti. Certo, non sono opere architettonicamente evolute, ma rappresentano comunque gli ultimi concreti esempi di quella cultura del “costruire con la pietra” di origine contadina, che oggi si è completamente persa sostituita dal cemento e dalle strutture prefabbricate.
Nei miei girovagare in Carso continuerò a documentare queste costruzioni e, quando possibile, raccoglierò informazioni per localizzarne delle nuove. Non è che un ridottissimo contributo, ma possiedo alcune fotografie di casite che forse rappresentano l’ultima testimonianza visiva di alcune costruzioni che oggi non esistono più. Sarà tutto legato al mio carattere, ma ogni volta che una testimonianza del passato si distrugge e scompare, per me è una cosa molto grave che mi ferisce.

Nella foto si possono vedere alcune delle tante casite rinvenibili sul Carso triestino (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 17:26 | 0 comments
venerdì 26 dicembre 2008
Ho sempre avuto la mania di scrivere, fin da giovane. In certi periodi rallento e penso di più, in altri produco una quantità esagerata di pagine. Non tutte mi soddisfano, però, e talvolta faccio una spietata selezione. Sul Blog ho postato vari miei scritti di fantasia (oltre alle relazioni ed alle considerazioni sul mondo sotterraneo) e, guardando a questi ultimi due anni, ho deciso di fare un po’ di ordine, sistemando e raccogliendo (in modo virtuale) le varie pagine che ho prodotto.
E’ così emerso che ho pubblicato ben 24 raccontini, che seguono anche una certa logica.
Ho scoperto, ad esempio, che per quanto riguarda le presenze fantastiche in grotta ho prodotto una curiosa trilogia, parlando di incontri con dee protettrici della terra (Gea), con mostri cattivi (L'essere) e con creature angeliche (Lui).
Poi, ho aperto un filone di scritti che hanno visto come protagonista uno speleologo di pura fantasia (???) che ho chiamato Marco, esperto di animaletti e bacherozzi vari, al quale - all’inseguimento di strani animali (Topo e Toporagno) - ho fatto fare spesso una brutta fine, risollevando la sua triste situazione solamente in un ultimo caso (Una grotta da sogno).
C’è stato anche un protagonista di nome Piero, scavatore ed indefesso disostruttore (La voragine) ed un altro di nome Rocco, bloccato dall’innalzarsi del livello dell’acqua (Piena). Entrambi mi ricordano qualcuno che conosco.
Alla fine, una parte dei racconti si è rivolta pure al mondo femminile: un testo dai risvolti sexy che vede come personaggio principale Sara, che originariamente doveva chiamarsi Valeria (Passione sotterranea), e poi un’avventura che - pur vedendomi protagonista - ho dedicato all’amica Giara (Festa in miniera).
Quello che è sempre prevalso (dipende probabilmente dal mio carattere…) è il filone “del mistero”, con ambientazioni tetre e di paura, come nel caso dei racconti dedicati al “battaglione fantasma” del Canin (Valeria camminava veloce) o ad altre situazioni inusuali e paranormali (La lunga discesa e Un'ombra nel buio 2).
Ci sono stati, in ogni caso, anche dei racconti quasi autobiografici che, pur con risvolti di fantasia, hanno trattato di vicende veramente vissute nella mia carriera di speleologo (Solo) e delle strane sensazioni che ho provato nei sotterranei dei Gesuiti (Un'ombra nel buio 1 e La cornice di pietra), infilato in una disagevole fessura (La strettoia), o affacciato un profondo pozzo (Vertigine). Ma vi sono stati anche temi più generici, come una mia personale visione di ciò che dovrebbe essere una grotta (La grotta ideale) o le sensazioni provate su un costone carsico affacciato sul mare (Vento).
Per finire, ho parlato semplicemente dell’acqua che scorre nelle sue varie forme (Acqua), di alcune situazioni che possono essere percepite in modi diversi a seconda di chi è il soggetto interessato (Eroe) ed ho inserito - con mossa subdola - anche un raccontino di pura fantascienza che non centra nulla con le grotte, ma che mi pareva abbastanza interessante(La strada è umida).
Come ultima annotazione, voglio evidenziare il breve testo che prediligo e che - a suo modo - mi ha sempre commosso: non è certamente autobiografico, ma traspare fra le righe lo spirito di un vecchio speleologo che non si arrende completamente agli acciacchi degli anni che avanzano (L'orlo del pozzo).

Questa è la mia scarna produzione, o meglio la parte dei miei scritti di carattere più o meno speleologico che ho deciso di inserire nelle pagine del Blog. Siccome non ho mai ricevuto proteste vere e proprie, ma solo leggeri apprezzamenti, penso che continuerò a postare altri racconti, a meno che qualcuno non mi inviti esplicitamente a desistere.
Tutto dipende, quindi , da voi lettori…

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posted by Paolo at 10:32 | 0 comments
venerdì 19 dicembre 2008
La SAS ha recentemente avviato un programma di monitoraggio riguardante l’acquedotto Teresiano. Non c’è ancora nulla di ufficiale, ma sono state richieste al Comune le autorizzazioni per procedere ad un ciclo di verifiche sui livelli dell’acqua presenti nelle Gallerie Superiori, alle spalle del Capofonte. Come molti sapranno, nel 2008 sono stati effettuati dei lavori lungo la via che passa parallela al Capofonte e, in tale occasione, sono state effettuate delle attività che si possono definire per lo meno discutibili. E’ stato interrotto il tubo che originariamente collegava le Gallerie Superiori con il Capofonte, è stato realizzato un criticabile pozzetto che avrebbe dovuto convogliare i nuovi flussi d’acqua, è stato poi ricoperto il tutto in modo da rendere quasi definitiva la situazione. Questi lavori hanno però comportato un anomalo deflusso dell’acqua nel tratto compreso fra le Gallerie Superiori ed il Capofonte, con conseguente allagamento delle stesse gallerie, una riduzione della portata idrica al Capofonte e la nascita di una “risorgiva spontanea” in un’aiuola di via Piero della Francesca. Come si può facilmente capire, tali lavori effettuati in maniera maldestra hanno pesantemente alterato gli equilibri di flussi idrici oramai stabilizzati da anni, portando l’acqua a crearsi nuovi percorsi per ora sconosciuti se non negli sbocchi finali.
Riassumendo: si alza l’acqua nelle Gallerie Superiori perché è stata alterata la normale via di deflusso, nello stesso tempo si riduce la portata all’interno del Capofonte, perché le acque seguono una nuova via non ben definita e, infine, l’acqua che non passa più per il Capofonte emerge inaspettatamente in un prato posto in posizione sottostante, allagando aiuole ed un tratto di strada.
Non c’è che dire, una situazione molto delicata che si è presentata esattamente in corrispondenza dell’ultimazione dei lavori eseguiti lungo la strada presso il Capofonte. E’ evidente, poi, che si tratti proprio dell’acqua del Teresiano, perché la “risorgiva” presenta variazioni di portata legate alle piovosità, quindi non perdite di tubazioni ma flussi raccolti dal terreno e dovuti alle piogge, in pratica le acque delle Gallerie Superiori, collettori sotterranei che sono stati realizzati proprio per questo scopo (vedi teoria delle Wassergallerien).
La prima visita di monitoraggio, eseguita in data 15 dicembre 2008, ha portato a questo risultato: Gallerie Superiori impraticabili perché completamente allagate, con un livello dell’acqua di circa 140 cm superiore al livello medio (tale livello medio si riferisce alla quota di equilibrio raggiunta dall’acqua quando tutta la portata raccolta dalle gallerie riusciva ad essere smaltita ed allontanata dalle gallerie stesse).
Forse faremo ancora un tentativo nel corso del corrente mese di dicembre. Sicuramente verrà fatta un ulteriore visita di controllo nel mese di gennaio e speriamo che, per allora, ci siano pervenuti i permessi per avviare ufficialmente la campagna di monitoraggio.

L'immagine mostra il fondo del pozzetto di accesso alle Gallerie Superiori, con l'acqua che non permette di proseguiro oltre (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 16:46 | 0 comments
sabato 13 dicembre 2008
E’ da un po’ di tempo che non scrivo qualche racconto per il blog. Così mi sono concentrato ed ho immaginato un finale un po’ diverso per una gita fatta recentemente dalla SAS. Solo un volo di fantasia, ma anche un argomento intrigante ed a suo modo affascinante, che ho già trattato. Le righe che seguono le dedico alla mia amica Giara…

E’ stata una splendida giornata. Dopo aver raggiunto l’entrata della miniera e sistemato il campo, abbiamo avuto tutto il tempo per raccogliere la legna, preparare un bel cerchio di pietre e tirare fuori dagli zaini le abbondanti riserve di viveri che abbiamo portato con noi. Costine, salcicce, braciole, opportunamente condite da vino e birra. La serata si è quindi svolta con tranquillità: canti, risate e buona compagnia. L’anfratto dove abbiamo sistemato il campo si presta in maniera ottimale. Un luogo riparato, asciutto, da un lato quasi proteso su una valletta nella quale scorre un fresco torrente di montagna. Un vero spettacolo, specialmente quando la luna piena spunta dal costone di fronte, illuminando con la sua luce azzurrina le rocce e gli alberi circostanti. Alle nostre spalle, i vari imbocchi delle gallerie estrattive. Anfratti scuri, ben poco attraenti con la discesa delle tenebre, passaggi che abbiamo già esplorato ma che ora non invitano certo ad una visita notturna.
Dopo la baldoria, non è rimasto altro che prepararci per andare a dormire. Qualcuno ha piantato la tenda, io ho preferito rimanere all’aperto in compagnia di Marco. La stanchezza della giornata e l’alcol bevuto mi hanno quasi portato ad un leggero stato di torpore. Quindi ho disteso il materassino, mi sono infilato nel sacco a pelo e quasi subito mi sono addormentato. In pochi secondi l’atmosfera fumosa del campo si è dissolta e sono caduto in un sonno profondo senza sogni.

Non so se sia stato un rumore, oppure una specie di sensazione quella che mi ha svegliato improvvisamente. Allungando il collo riesco appena a mettere il naso fuori dal cappuccio del sacco a pelo e, pur senza occhiali, distinguo abbastanza bene la piccola cavernetta nella quale ci troviamo, in controluce sullo sfondo del cielo sereno e leggermente luminoso. La prima cosa che mi viene in mente è che qualcuno si è alzato per un bisogno improvviso, ma sento vicino a me il respiro regolare di Marco e riesco a vedere bene come la tenda sia ancora chiusa. Anzi, essendo io sdraiato proprio davanti al suo ingresso, nessuno sarebbe riuscito ad uscire, al buio, senza calpestarmi. Sto quasi per riaddormentarmi (saranno circa le quattro del mattino) quando un rumore improvviso mi fa riaprire gli occhi. Rimango immobile e dalla mia posizione riesco a guardare nella direzione di quel leggero scricchiolio. Passa qualche secondo di silenzio, poi vedo distintamente un’ombra che si scosta dalla parete per scomparire subito nell’oscurità. Non capisco bene. Qualche animale? Qualche curioso che è venuto a vedere chi ha deciso di passare la notte in questo strano posto di montagna, ben lontano da ogni centro abitato?
Quasi fissando l’oscurità, intravedo che ci sono più sagome indistinte che si muovono seminascoste nel buio. Saranno dei malintenzionati? Oppure degli amici che sono venuti a farci qualche brutto scherzo? Non comprendo cosa stia succedendo. Do un colpo a Marco che è sdraiato al mio fianco, ma lui emette solo un sospiro più forte e non si sveglia. Cosa fare? Non rimane che aprire una luce e vedere chi sono questi ospiti inattesi. Faccio scorrere silenziosamente la cerniera lampo del sacco a pelo, con un balzo mi metto a sedere e contemporaneamente accendo la torcia elettrica che porto sempre con me. Sono preparato a tutto (o quasi…), ma quello che mi appare davanti è uno spettacolo che non avrei mai nemmeno immaginato. A pochi metri da noi vi sono quattro figure che sono state letteralmente bloccate dal fascio di luce della mia lampada. Sarà stato l’alcol o l’improvvisa sveglia, ma non riesco a mettere pienamente a fuoco tutta la scena. Forse, semplicemente, non voglio accettare completamente quello che appare davanti ai miei occhi. Non sono persone quelle che mi stanno fissando. Si potrebbe quasi parlare di caricature di uomini. Figure magrissime, seminude, dalla pelle grinzosa e biancastra. Sporche, deformi, quasi rattrappite. Allo stesso tempo, però, agili nei movimenti. Sorprese dalla mia luce hanno tutte reagito con rapidità, saltando, girandosi, dimenandosi quasi fossero scottate dal raggio luminoso. Io, sbalordito, non so cosa fare. Con la voce non molto ferma, riesco solamente a gridare “Chi siete, cosa volete…”. In un attimo, due di queste sagome si gettano fuori dall’ampia finestra che domina la valle. Altri due esseri, invece, passano dietro alla tenda, ribaltano gli zaini e qualche bottiglia mezza vuota avanzata dalla cena e, con un balzo, si infilano nelle gallerie buie della miniera. A tutto questo rumore, i miei compagni si svegliano. Si accendono più luci, la tenda si apre e tutti vogliono capire cosa stia succedendo. Io, ancora mezzo intrappolato nel sacco a pelo, farfuglio in maniera isterica indicando le due direzione nelle quali sono scomparse quelle strane e spaventose creature. Le torce sciabolano nella notte. Gli amici domandano, si preoccupano, cercano qualche indizio, qualche prova, ma non trovano nulla. Quando dico, poi, che due di quegli esseri sono saltati da quella specie di terrazzo che si affaccia sulla profonda valletta, vedo che inizia a serpeggiare qualche dubbio. Illuminando la parete quasi verticale che scende fino al torrente, è ben difficile pensare che qualcuno, con un balzo, sia potuto scendere da quella parte. Allora indico le tracce sul pendio di detriti che porta alla parte profonda della miniera, segni di lunghi passi che si allontanano dal campo, ma anche in questo caso mi dicono che sbaglio, che sono semplicemente le nostre tracce, che di lì siamo passati noi…
Sono impaurito, frastornato e sono scosso da brividi che mi salgono lungo la schiena. Cosa ho visto veramente? Chi abbiamo incontrato in questa notte fredda di montagna?
Gli altri la prendono con allegria. Mi dicono che sono ubriaco e che devo curarmi se sono soggetto ad incubi notturni. Rientrano nella tenda e riprendono a dormire come se niente fosse. Per quanto mi riguarda, non mi sfiora nemmeno l’idea di riaddormentarmi. Trovo una parete protetta, con ampia visibilità tutt’attorno, e mi accovaccio in una specie di nicchia della roccia. Rimarrò qui per tutto il tempo necessario, aspettando la luce del giorno. Non chiuderò occhio, perché questo è semplicemente impossibile dopo aver visto quello che sono convinto di aver visto. Non si è trattato di allucinazioni o di incubi. Io ho visto quelle creature. Esseri che sono usciti dalle gallerie della miniera e che, probabilmente, vivono nella parte più oscura di quei cunicoli. Durante la nostra esplorazione non abbiamo visto nessuna traccia della loro presenza, ma questo non vuole dire nulla, vi sono mille fessure, numerosi camini, tanti punti nei quali nascondersi. Solo una verifica attenta potrebbe rintracciare questi passaggi, ma certo non sarò io ad organizzare una ricerca di questo genere. Personalmente, non voglio più avere alcun contatto con questa miniera, con le sue gallerie oscure e con chi, senza mai farsi vedere, abita i suoi anfratti nascosti. Certo, siamo noi i disturbatori, quelli che hanno invaso il loro mondo rimanendo perfino durante la notte, quando il buio scende su ogni cosa ed avvolge indistintamente in dentro ed il fuori della roccia. Cosa volevano quelle strane creature? Erano intenzionate a farci del male o erano semplicemente curiose? E chi sono realmente quegli esseri? Vecchi minatori che vivono isolati nelle profondità del sottosuolo? Oppure eremiti deformi che hanno deciso di sparire dal mondo della luce per rifugiarsi nell’universo dell’oscurità? Non lo sapremo mai.
Aspetto solo che il sole sorga ed ogni più piccolo rumore mi fa sobbalzare. Nelle mani stringo il mio fedele coltello a serramanico, ma sono quasi convinto che non avremo più altre sorprese, per questa notte. Domani, con la luce, cercherò di convincere i miei amici a scendere il prima possibile verso valle. Farò lo spiritoso, dirò che – ovviamente – mi sono sbagliato, offrirò da bere a tutti ridendo delle mie visioni. Ma dentro di me so che è tutto vero. Io ho visto veramente quelle figure nella notte.
Speriamo che l’alba arrivi rapidamente…

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posted by Paolo at 18:54 | 2 comments
lunedì 8 dicembre 2008
Solo a poche miglia a nord di San Francisco (California), in un canyon isolato, cresce un’antica foresta di redwoods (sequoie), conosciuta con il nome di Muir Woods. Si tratta di un piccolo parco nazionale che offre solitudine (è poco frequentato), vari percorsi segnalati ed un fitto bosco di alberi giganti alti più di 70 m e vecchi di mille anni. Tutto questo non centra nulla con la speleologia ma, cercando delle immagini nel computer, ho trovato alcune foto che mi hanno ricordato la mia visita negli U.S.A. e la gita che ho fatto in questa foresta. Devo dire che allora, anche a costo di farmi deridere dai colleghi che erano con me in quel viaggio, ho abbracciato forte uno di questi alberi. Chi fa queste cose dice di sentire particolari vibrazioni che vengono trasmesse dal tronco. Io non so cosa ho sentito, ma qualcosa mi è arrivato. Sarà stato lo splendido bosco attorno, la bellezza disorientante di quelle piante alte, vecchie e sagge (ovviamente è un modo di dire ma la parola saggio, sul momento, non mi è sembrata poi così fuori luogo…), l’atmosfera permeata dalle nebbiolina della mattina, in attesa che salga il sole all’interno dello stretto canyon, ma qualcosa - alla fine - quegli alberi mi hanno trasmesso. Loro erano già in quella valle 10 secoli fa, loro hanno visto tante cose, loro - probabilmente - hanno capito tante cose.
Di quella visita conservo sicuramente un ottimo ricordo e quindi posso solo immaginare cosa voglia dire andare a vedere gli altri grandi, e ben più famosi, parchi nazionali americani. Non disperiamoci, però. C’è ancora tanto tempo per ritornare in queste terre che, per quanto riguarda gli aspetti naturalistici, presentano certamente grandi potenzialità. Forse, quando andrò in pensione…

Nell'immagine, la proporzione fra i sentieri (belli larghi) e le dimensioni dei tronchi permette di capire la grandezza e l’imponenza di quelle sequoie (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 16:30 | 0 comments
domenica 7 dicembre 2008
L'altra domenica (30 novembre) si è dimostrata veramente piacevole: ultima uscita del corso di speleologia e cena finale in gran compagnia. Ma c’è stato di più: abbiamo visitato la grotta Lindner (n. 3988 VG - grotta molto conosciuta perché arriva fino alla profondità di 170 m e chiusa da un pesante cancello) in condizioni che - per quanto mi riguarda - considero particolari e quasi straordinarie. Mi spiego. La grotta Lindner è una cavità che ho visitato varie volte, in passato. Una cavità relativamente semplice, ma che presenta tutta una serie di passaggi estremamente “didattici”, cioè adatti all’insegnamento delle tecniche di progressione. Ci sono i lunghi scivoli da scendere, il traverso sopra il laghetto, la risalita lungo il camino, qualche punto un po’ più stretto ed un pozzo breve ma che presenta varie tipologie di spezzamento della corda. A tutto questo, durante la nostra uscita, si è aggiunta anche una condizione idrica particolare. Intendiamoci, nulla a che vedere con gli inghiottitoi attivi del vicino Friuli o con i meandri del Canin, che possono essere travolti da ondate di piena in occasione di grandi piogge. Nel nostro caso, però, anche la grotta Lindner, che io in altre occasioni ho visto quasi asciutta e caratterizzata solo dalla presenza di grandi masse di fango nella sua parte terminale, si è dimostrata un vero e proprio collettore delle acque meteoriche. Non certo cascate, ma forti stillicidi e piccoli rivoli che fluivano da tutte le parti, fino ad incontrarsi in un ruscelletto che interessava la parte profonda della cavità. Quello che mi è più piaciuto, e che mi ha fatto venire un po’ di nostalgia per i vecchi tempi, è stato il rumore dell’acqua. Le tante gocce che cadevano dall’alto, i numerosi rigagnoli, il torrentello che scendeva fra le colate e le concrezioni, provocavano un rumore preciso ed inconfondibile, il gorgogliare dell’acqua che scorre, che mi ha fatto ricordare le tante esplorazioni fatte in grotte che, in alcuni casi, vedevano un vero e proprio fiume gettarsi nelle loro imboccature.
Penso che la risalita sotto il bel “spinello” d’acqua che si gettava nel pozzo sia stata una bella (ed umida) esperienza per gli allievi, che hanno finalmente iniziato a muoversi in maniera un po’ più sciolta. Certo, andare in grotta in autonomia è tutta un’altra cosa, ma c’è ancora il tempo (anche al di fuori del corso) per migliorare e perfezionarsi…

L’immagine ritrae una fase della discesa (Foto Guglia)

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posted by Paolo at 10:17 | 0 comments
martedì 2 dicembre 2008
Ritornando dall’uscita domenicale del corso, ho avuto l’occasione di parlare con una allieva sul rapporto tra l’uomo ed il sottosuolo e, ripensando a quanto detto in questa occasione, ho tratto alcune personalissime considerazione.
Intanto, il sottosuolo è un territorio degli estremi, quasi mai l’uomo è rimasto indifferente a questo mondo. Nel passato si aveva un innato terrore del profondo della terra, quale luogo buio, di paura, abitato da esseri mostruosi, se non - addirittura - terra dell’oltretomba. Questo è l’approccio che possiamo considerare “storico”, ovvero un’interpretazione che “temeva” l’oscurità perché non “conosceva” cosa si trovava dall’altra parte, una lunga fase durata fino a qualche secolo fa, durante la quale ben pochi avrebbero avuto il coraggio di inoltrarsi profondamente in una grotta. Poi sono venuti i primi geografi, i curiosi che hanno sfidato le paure ancestrali provando a vedere cosa c’era oltre l’ingresso buio e così, piano piano, è nata la speleologia. Oggi si sa perfettamente cosa si nasconde (solamente agli occhi delle masse, ma non certo delle persone che frequentano le grotte) sotto i nostri piedi, sia che si tratti di cavità naturali (vedi le infinite ricerche geologiche, idrologiche, biologiche, paleontologiche, ecc.), che di cavità artificiali (vedi gli altrettanti numerosi studi storici, architettonici, artistici, ecc.). Certo, non conosciamo tutto del “mondo di sotto” e molte sorprese potrebbero arrivare nel prossimo futuro, ma si tratterà solo di ritrovamenti particolari, di complessi ipogei di grandi estensioni, di stranezze morfologiche, ma nulla di veramente sconvolgente. Oggi, quindi, non dovremmo avere più paura del sottosuolo semplicemente perché lo conosciamo e abbiamo tutte le informazioni relative a cosa potremmo trovare al suo interno.
Ma poniamoci una domanda, sappiamo veramente tutto? Non potrebbe essere che - in qualche grotta particolare ed in presenza di certe condizioni - il filo della storia abbia subito una biforcazione, che l’evoluzione come la conosciamo noi abbia avuto un “incidente di percorso”, una deviazione? Che sottoterra ci siano (per ora ancora ben celate) delle realtà, delle presenze che non abbiamo mai preso in considerazione e che potrebbero rivelarsi all’improvviso?
Certo non nel Carso triestino, certo non in una delle nostre grotte frequentate e perfettamente conosciute, ma in qualche altro luogo nascosto, in qualche microambiente particolare, non potrebbe esserci stata una qualche eccezionale condizione che ha portato alla nascita (o meglio alla modificazione) di alcune forme di vita per il momento ancora ignote?
Ominidi prigionieri in vasti sistemi di grotte, oramai abituati a quell’ambiente e che si riproducono già da millenni? Forse animali strani che si sono evoluti in singolari nicchie biologiche, acquisendo caratteristiche e morfologie inaspettate? Certo sono solo fantasie, in quanto come potrebbero sopravvivere questi esseri che, pur essendo ai vertici della catena alimentare, non disporrebbero di prede di dimensioni ed in numero sufficiente. Ma possiamo proprio affermare che un’eventualità di questo genere sia completamente impossibile ed irrealizzabile? Io sono abbastanza scettico su tale possibilità, ma forse in qualcuno con la mente meno pragmatica della mia potrebbe insinuarsi il dubbio ed allora alcune grotte più isolate e meno frequentate diventerebbero luoghi dove potrebbe accadere l’imprevisto, dove potrebbe esserci qualche presenza non ancora manifesta, e forse anche ostile.
Ad ognuno la propria opinione su questo argomento. Per quanto mi riguarda continuerò a sentirmi a mio completo agio nel mondo sotterraneo, senza alcuna paura. Spero che questo, al di là di un primissimo approccio che inevitabilmente porta a qualche timore iniziale, succeda presto anche a tutti i neofiti (e le neofite!!!) della speleologia.

L’immagine riporta un fotogramma del film “The descent”, dove si intravede una forma di vita sconosciuta che semina il panico fra i membri di una spedizione che visita una grotta inesplorata (Attenzione: è solo cinema!!!).

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posted by Paolo at 22:17 | 0 comments
giovedì 27 novembre 2008
In realtà ho saltato un numero, cioè non sono riuscito a partecipare all’uscita del corso che si è svolta una domenica fa nella grotta delle Torri di Slivia (n. 39 VG) e quindi forse si dovrebbe parlare di “Corso 4”, ma lasciamo da parte questi dettagli cronologici. E’ di nuovo domenica, sveglia non proprio mattutina perché raggiungo il gruppo un po’ più tardi, ma verso le ore 11 riesco ad entrare anch’io in grotta. Si tratta della Ternovizza (n. 242 VG), cavità molto conosciuta e frequentata durante quasi tutti i corsi di speleologia. La discesa si è svolta senza problemi e la visita della parte terminale - dopo il pozzo - ha interessato gli allievi. Le uniche considerazioni negative espresse da tutti i partecipanti hanno riguardato le condizioni in cui si trova la grotta: il facile accesso ha portato ad un notevole degrado interno, con scritte alle pareti, concrezioni danneggiate e “scarburate” da tutte le parti. E’ un vero peccato, perché la cavità presenta scorci notevoli, con colonne, colate e vaschette che originariamente dovevano essere di grande bellezza. Ho fatto molte foto e le possibilità offerte oggi dalla grafica informatica hanno permesso di cancellare scritte e deturpazioni varie, ma ciò che appare come risultato finale è purtroppo ben diverso dalla realtà.
Per il resto, abbiamo dovuto dotarci di un po’ di pazienza in attesa che gli allievi risalgano il pozzo ed abbiamo patito tanto, ma veramente tanto freddo dovuto ad una corrente d’aria decisamente gelida ed insistente.

La foto che vi presento, come anticipato, è stata opportunamente corretta per cancellare scritte e danneggiamenti varie (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 22:06 | 0 comments
mercoledì 19 novembre 2008
Dopo l’esperienza alla Grotta dei Cacciatori (n. 97 VG) per apprendere le nozioni base, la seconda uscita pratica del corso di speleologia GTS-SAS (oppure per par condicio SAS-GTS) si è svolta alla grotta Ercole (n. 6 VG). Si tratta di una cavità “classica” cioè conosciuta da tempo e molto frequentata. La facile percorribilità e la comodità di accesso hanno fatto si che alcune parti di questa grotta siano abbastanza deteriorate, con la presenza – ad esempio – di molte scritte alle pareti e stalattiti spezzate. Questo è stato notato dalle allieve del corso, che hanno evidenziato come la cavità che inizialmente doveva essere molto bella oggi si presenti, in realtà, abbastanza male. Ma si tratta – alla fine – di una palestra per apprendere la progressione verticale e solo per questo viene normalmente frequentata. Fissate le corde, è iniziata la lenta discesa, dove gli istruttori hanno espresso la loro massima pazienza nel cercare di far superare alle allieve il comprensibile primo momento nel quale ti affacci sul nero del pozzo. Pozzo che in realtà è formato da una serie di gradoni, per cui si scende per lo più seguendo la parete. Giunti sul fondo, qualche attimo di riposo per fare merenda e raccontarsi le impressioni, e poi via con la risalita, anch’essa lenta, ma speriamo soddisfacente sotto l’aspetto didattico. Io ho seguito tutto dal mio punto di vista privilegiato di osservatore e devo dire che me la sono passata alla grande, scendendo senza fatica lungo le corde ben posizionate, facendo belle foto e lasciando ad altri il compito di insegnare e disarmare. Poi tutti in osmiza. Anche questa uscita è andata per il meglio e confermo con gioia che è continuato ad aleggiare, anche in questa occasione, uno spirito positivo che non sentivo da tempo. Tutti pronti per la prossima esercitazione in grotta.

L'immagine ritrae gli istruttori e gli allievi sul fondo della grotta (Foto Guglia)

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martedì 11 novembre 2008
La SAS ha deciso di ritornare ai corsi di speleologia. Dopo averne organizzati ben 21 (l’ultimo nel 1994), è passato un lungo periodo di attesa ma, nel novembre 2008, si è nuovamente iniziato a parlare di lezioni, insegnanti, uscite e didattica. In realtà si tratta di un mezzo corso perché burocraticamente l’Adriatica non può (al momento) operare in autonomia. E’ stato così necessario unirsi agli amici del Gruppo Triestino Speleologi, che a sua volta aveva problemi di istruttori e partecipanti. Assieme si è partiti con l’organizzazione ed il giorno 6 novembre è stata tenuta la prima lezione teorica presso la sede comune di via Rossetti. Al di la della parte svolta in aula, voglio parlare di quella che è stata, invece, la parte prettamente pratica. Sabato pomeriggio si è svolta la prima uscita in grotta per l’apprendimento delle tecniche di progressione. Io ho partecipato da semplice osservatore (non sono al momento in possesso di alcuna qualifica secondo i regolamenti della SSI), ma ho controllato da lontano tutto quello che veniva fatto. Devo dire che mi è sembrato più che soddisfacente (in qualche caso anche più che buono) il livello degli istruttori e bene si sono comportati anche gli allievi. Anzi, in questo caso possiamo parlare di allieve, essendo la totalità degli iscritti al corso di sesso femminile. Mi è piaciuto molto lo spirito complessivo del gruppo insegnanti/allievi/accompagnatori, ed in generale ho potuto respirare nuovamente l’atmosfera “corsaiola” che aleggiava alla SAS agli inizi degli anni ’90, quando ciclicamente si decideva di partire con la stancante ma entusiasmante avventura del corso di speleologia.
Il bilancio finale è (ovviamente per il momento) più che positivo e speriamo che continui così nel proseguo delle uscite.

L’immagine ritrae alcuni istruttori che stanno accompagnando le allieve nella grotta denominata “dei Cacciatori” - n. 97 VG (Foto Guglia).

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