mercoledì 8 novembre 2006

Non sono uno scrittore. Ho sempre avuto difficoltà nel fissare le mie sensazioni sulla carta. Se devo fare qualche relazione in stile prettamente tecnico, me la cavo. Ma per tutto il resto è un continuo sforzo, che porta a risultati che non sempre mi soddisfano. Negli anni ho comunque scritto qualche racconto breve, sempre legato al mondo delle grotte. Uno di questi è riportato di seguito: l'argomento riguarda ovviamente il sottosuolo ed è tratto da un sogno che ho fatto una notte di settembre, nel 2004.

Gea

Faceva caldo, in quel bosco. Non ha importanza il nome, si trattava di uno dei tanti boschi che avvolgono i fianchi delle nostre montagne. Mi trovavo, come speso accadeva, a camminare da solo fra gli alberi in una giornata estiva.
Il cielo era completamente sgombero ed il sole picchiava con forza, in quelle ore centrali del giorno. Avanzavo a mezza costa, seguendo deboli piste lasciate da chissà quali animali. Probabilmente caprioli, che frequentano in gran numero queste foreste.
Ero distratto nel mio cammino dai tanti particolari della natura: l'insetto dalla corazza luccicante, il fungo che si intravede appena fra gli aghi di pino secchi al suolo, le tante bacche che ravvivano con i loro rossi e blu il colore verde scuro dei bassi cespugli.
Procedendo senza una particolare meta, quasi immerso senza pensieri in quell'ambiente caldo ma comunque accogliente, venni improvvisamente interrotto da una sensazione nuova e violenta. Una corrente di aria fredda, quasi gelida rispetto alla calura estiva, mi fece rabbrividire. Non si capiva la sua origine, in quanto quel soffio gelato pareva ogni tanto svanire completamente, per poi farsi percepire nuovamente nella sua intensità. Colpito dalla particolare situazione, cercai più attentamente nel bosco che mi circondava, risalendo una specie di piccolo canalone che portava ad alcune rocce. Dopo qualche metro individuai nuovamente il flusso dell'aria e, ben presto, arrivai ad una fessura nella roccia. Non era facilmente visibile e dovetti scostare i rami di un cespuglio per scoprirla completamente. Era un'imboccatura orizzontale, dalle pareti lisce e levigate, di dimensioni abbastanza contenute. La roccia di quella montagna non si presta alla nascita di grotte naturali scavate dall'acqua, per cui il ritrovamento era decisamente strano. La corrente d'aria, normalmente segno di uno sviluppo notevole dei vani interni, rendeva ancora più interessante la scoperta. Per uno speleologo come me è normale avere nello zaino una torcia elettrica pronta per ogni evenienza e né il buio né le scarse dimensioni della fessura potevano fermare un vecchio esploratore. Sistemato lo zaino in una nicchia vicina ed indossata una giacca più pesante, mi infilai lentamente nello stretto pertugio.
La prima idea che mi passò nella mente fu quella di aver ritrovato una vecchia miniera, scavata chissà da chi e dimenticata per chissà quanti anni. Magari era possibile trovare qualche segno di scavo, qualche piccolo reperto, oppure qualche cristallo o minerale, perciò quel cunicolo meritava sicuramente di essere esplorato.

Dopo alcuni metri il passaggio si allargava quel tanto da permettere un avanzamento più agevole. Le pareti, illuminate dalla luce della mia torcia, si presentavano squadrate, lisce e lavorate con precisione. Solamente in alcuni punti si potevano intravedere le tracce lasciate da uno scalpello, sicuro segno che il corridoio sotterraneo nel quale mi trovavo era stato scavato dalla mano dell'uomo …
Inoltrandomi sempre più nel cuore della montagna, potei notare come alcune colate calcitiche avevano rivestito le pareti. Cristalli trasparenti, talvolta bianchi e rosa, ricamavano la roccia, creando figure delicate. Sembrava quasi che la natura avesse contribuito a migliorare la sezione quasi geometrica scavata dall'uomo, modellando rilievi e forme che ingentilivano il vano in cui mi trovavo.
Procedendo lungo il passaggio, però, la sensazione che provavo mutò nuovamente. La luce della torcia non era particolarmente forte ed illuminava a sprazzi il cunicolo, ma ebbi la precisa sensazione che qualcosa stesse cambiando. Osservando meglio, mi sembrò che le forme dello scavo - inizialmente squadrate e regolari - facessero posto a qualcosa di più complesso ed elaborato, anche se, per il momento, le concrezioni ammorbidivano e nascondevano le varie sagome.
Avanzando ulteriormente ebbi la conferma: le pareti inizialmente lisce ora si mostravano arricchite da particolari nuovi, via via più ricchi e complessi. Intravidi tracce di colonne, lesene, cornici e scanalature. Queste forme diventavano sempre più elaborate avanzando lungo il cunicolo. Inizialmente appena accennate, poi sempre più definite e complicate.
L'aspetto della galleria si trasformava in qualcosa di unico e misterioso.
Il pavimento, nella parte iniziale ricoperto da sassi e detriti, si presentava ora liscio e lastricato in pietra, e procedeva il leggera discesa. Ancora alcuni metri e mi trovai alla sommità di una scalinata che scendeva nel buio.
A questo punto provai un po' di paura. Ero solo e la situazione si presentava sicuramente stimolante, ma anche preoccupante. In che strano pertugio mi ero infilato? Dove mi trovavo? Dove portava quella scala?
Decisi che, nonostante tutto, era il caso di proseguire e cominciai a scendere lentamente i gradini di pietra.
Dopo pochi passi feci una nuova, sconvolgente scoperta. Nonostante il raggio di luce della torcia evidenziasse le forme architettoniche che stavano attorno a me, riuscivo a percepire le sagome delle colonne e dei capitelli anche nelle zone di piena ombra. Pensai che ciò fosse dovuto ad un riflesso sulle superfici umide, ma quello che riuscivo a vedere non era giustificato dal semplice riverbero della luce. Provai allora a chiudere la torcia e rimasi senza fiato. Nonostante la mia lampadina fosse oramai spenta, riuscivo ad intravedere ancora i profili delle strutture che mi circondavano. Dopo alcuni secondi, quando gli occhi si furono abituati completamente, capii che non era necessaria la mia pila elettrica, perché una luminosità diffusa, quasi una nebbia fosforescente, permetteva di muoversi senza difficoltà in quello strano ambiente.
La voglia di fuggire, di risalire le scale e di correre all'esterno, verso la luce del sole, era forte, ma giunti fino a quel punto non si poteva più tornare indietro.
Continuai la discesa. La scala, dopo qualche metro, mi portò in un vano di particolare bellezza. Le costruzioni architettoniche, ricche ma sempre armoniose, si fondevano con le concrezioni. Non si capiva dove finiva una colonna e dove iniziavano le stalattiti luccicanti. Non si percepiva se i capitelli istoriati erano stati modellati in quella forma direttamente dall'uomo, oppure se gli stessi erano stati semplicemente abbozzati per poi esser completati dalle figure calcitiche naturali.
Tutto riluceva di mille cristalli, in tonalità rosate o gialle, che sfumavano in drappeggi quasi trasparenti.
C'era anche dell'acqua. Si sentiva il gorgoglio di un torrentello e, guardando bene, scoprii una specie di vasca, simile ad una fontana, con figure sfaccettate e rilucenti che si riflettevano sulla sua superficie.
Era un mondo fantastico, dove l'uomo e la natura si erano uniti per creare - nel tempo - un ambiente unico ed irreale.
La luminescenza diffusa permetteva di vedere abbastanza chiaramente i vari particolari, che davano la sensazione di trovarsi all'interno di una costruzione magnifica. Mi venne in mente la parola "tempio", un vero e proprio tempio in onore di qualche entità superiore e benevole. Una specie di palazzo a glorificazione di un essere potente, ma accondiscendente con gli uomini che avevano creato quel luogo così singolare.
Non so se è stato frutto della suggestione, della particolarità della situazione, oppure dell'unicità delle forme armoniose che mi circondavano nella penombra iridescente, ma a questo punto vidi Lei.
Oggi non saprei dire se tutto ciò è successo davvero, se si trattò di un'allucinazione, di una visione provocata dalla mia immaginazione, oppure se qualcosa è accaduto veramente in quell'anfratto nascosto nelle viscere della montagna.
Dietro ad una colonna, vicino alla fontana, intravidi una figura. Inizialmente non riuscii a capire di cosa si trattasse, forse una specie di statua ad ornamento del luogo. Poi abbi l'impressione che la figura si spostasse, che si avvicinasse. L'aspetto si fece più chiaro e definito: si trattava di una ragazza, vestita con un lungo abito di velo. La luminescenza diffusa sfumava la figura, ma rimasi incantato dalla bellezza del volto di quella giovane donna, dal suo sorriso.
Dopo alcuni secondi, dove entrambi restammo immobili, Lei avanzò ancora verso di me.
Non c'era alcuna sensazione di pericolo, anzi si irradiava da quella figura un'aura di serenità e dolcezza, ma il tutto stava diventando una cosa troppo grande per me. Mi girai e mi precipitai su per la scala. Accesi la torcia e correndo lungo il cunicolo sbattei varie volte contro le pareti. Giunsi finalmente all'uscita e, raccolto lo zaino, continuai a correre per lungo tempo verso valle. Non era vera paura, ma la percezione di aver vissuto qualcosa di unico, di misterioso, di inspiegabile … e l'uomo affronta con difficoltà ciò che non riesce a spiegare a se stesso. Scesi velocemente verso la strada e mi fermai solamente quando raggiunsi la mia auto posteggiata a lato della statale.
Quando penso a questa vicenda, mi nascono - oggi - tanti dubbi. Perché sono scappato? Perché non ho trascritto con precisione la posizione di quell'ingresso sulla montagna? Quante volte ho ripercorso quei boschi alla ricerca dell'entrata, senza trovare più alcuna traccia. Probabilmente un temporale più forte del solito ha trasportato sassi e terriccio lungo il canalone, celando definitivamente l'accesso a quel fantastico mondo sotterraneo. Anzi, quasi certamente l'ingresso è stato chiuso per chissà quanti anni dai detriti e solo per un breve periodo di tempo, per una circostanza unica e favorevole, si è aperto temporaneamente per permettere che io vi entrassi. Mi piace pensare che sia stato quasi un appuntamento, un incontro al quale io ero chiamato - mio malgrado - a partecipare.
Penso spesso a quella figura intravista presso la fontana, nel tempio sotterraneo. Oggi probabilmente ho aggiunto dei particolari che sono frutto della mia fantasia, del mio voler ricordare tutto ciò che è accaduto, ma rivedo con chiarezza quel volto di giovane donna, quel sorriso dolce, quell'espressione che irradiava forza ma anche gentilezza. Era veramente l'espressione che possiamo immaginare sul viso di una dea. Una dea della montagna e della natura, un essere superiore che vigila sul mondo sotterraneo e buio delle rocce, ma anche su quello delle foreste e dei torrenti luccicanti al sole. Una protettrice degli alberi, dei fiori, degli animali e della terra … della madre terra.
Quando ripenso a quell'incontro, se veramente c'è stato, vedo in quell'immagine proprio la protettrice della madre terra. Così, nei miei ricordi, le ho dato anche un nome, Gea, la dea che dal suo tempio incantato nel cuore della montagna, nascosta agli uomini ma sempre presente, veglia nel tempo su di noi e sulle nostre montagne …

Tratto da un sogno, 27.7.2004

Etichette:

 
posted by Paolo at 20:10 |


0 Comments: