domenica 8 luglio 2007
Si è già discusso e parlato abbastanza delle fantomatiche apparizione del battaglione fantasma sui sentieri del monte Canin e non sarò certo io - in questa sede - a voler affrontare tale argomento sotto l’aspetto storico, folcloristico o scientifico. Cercando fra le mie carte, però, ho trovato questo scritto, solo abbozzato, che ho rivisto e completato. Un racconto di pura fantasia, che prende spunto dai fantastici avvenimenti che, talvolta, sembra accadano sulle pendici di questa affascinante montagna.
Valeria camminava veloce, cercando di sbrigarsi prima che ricominciasse nuovamente a piovere. Ne aveva vista già abbastanza di acqua, anche troppa. Aveva cercato di raggiungere i compagni, su verso Pala Celar, ma era stato tutto inutile. Non bisogna avventurarsi da soli in montagna, quando c’è il mal tempo. Appena affrontata la salita, aveva iniziato a piovere in modo insistente, con scrosci violenti e colpi di vento. Il percorso già normalmente disagevole era diventato, in quelle particolari condizioni, alquanto infido e scivoloso. Valeria si era allora fermata nel dubbio se procedere o meno, ma si era ben presto convinta quando due fulmini, balenando poco distanti, avevano lasciato nell’aria un persistente odore di ozono. Era tardi ed era troppo pericoloso proseguire: gli altri avrebbero capito ed in ogni caso sarebbero stati troppo occupati a rinforzare le tende ed impedire che il campo volasse via nella tormenta.
Ritornare indietro era la decisione giusta, cercando possibilmente di raggiungere il rifugio Gilberti prima che facesse veramente buio.
Valeria puntò allora ai pianori sottostanti, cercando di fare in fretta, procedendo in direzione del Bila Pech che spuntava in lontananza, mezzo coperto dalle nuvole basse. Ma, come spesso accade, non tutti i programmi si svolgono come inizialmente previsto. Fatte poche decine di metri, infatti, ricominciò nuovamente a piovere. Non una pioggia normale, ma vere e proprie secchiate d’acqua che arrivavano da tutte le parti, trascinate dalla violenza del vento. Bisognava trovare un riparo. Valeria si diresse, allora, verso il Pic Majot, che scorgeva appena sulla sinistra: alla sua base si apriva uno stretto meandro che, pur con qualche difficoltà, avrebbe fornito una certa protezione dalle intemperie. Ancora qualche passo ed ecco che la scura entrata della grotta si stagliò nettamente in contrasto con la parete di roccia bianca, illuminata dall’ennesimo lampo.

Quello che colpì di più Valeria fu la totale assenza di rumori: il fenomeno che la ragazza stava osservando era privo di suoni, solo immagini evanescenti senza un colpo, un passo più forte, un cigolio o una parola sussurrata. Regnava l’assoluto silenzio.
Valeria aveva già sentito parlare di queste apparizioni, ma chissà perché non aveva mai creduto di poter esserne coinvolta. Aveva sempre pensato, inoltre, a qualcosa che riguardasse aree più distanti, verso ovest, come l’altopiano del Foran del Mus o i pendii del Col dell’Erbe. Poi, improvvisamente, ricordò che il fronte della Grande Guerra passava anche da quelle parti, ad una quota leggermente superiore, e tutto sembrò logico ...
Il battaglione fantasma. Anche lei era stata testimone di una delle rare e fantastiche apparizioni del battaglione fantasma.
Sbirciò nuovamente all’esterno. Erano passati solamente pochi secondi. Provò a focalizzare l’attenzione sui banchi di nebbia che galleggiavano sulle banconate di calcare, cercando di scorgere ancora qualche movimento, ma non vide più nulla. Ancora qualche attimo e, con un boato assordante, un fulmine cadde nelle immediate vicinanze, ridando il via all’imperversare del maltempo. Il vento si gonfiò di colpo, stracciando e rivoltando le nubi basse solo un momento prima quasi immobili. La pioggia riprese con violenza, sferzando in diagonale il terreno. Quella parentesi di calma innaturale, quell’interruzione strana della tormenta era definitivamente passata, perdendosi fra il bagliore dei lampi ed il cupo rimbombo dei tuoni. Nonostante la pioggia, Valeria si alzò decisa e, uscita dal meandro, si diresse verso il rifugio.
Non si guardò alle spalle, perché non aveva paura. Nella sua mente, aveva archiviato quello che aveva visto, dando una connotazione naturale all’apparizione. Prestando la dovuta attenzione ed il necessario rispetto, non si poteva avere paura della pioggia, dei tuoni, del vento. Erano cose normali ed inevitabili, che bisognava accettare. Allo stesso modo, quello che aveva vissuto era da considerarsi come parte integrante di quella montagna, qualcosa che apparteneva alle rocce, un’essenza sottile che aveva coperto come un velo quell’altipiano brullo e selvaggio. Non aveva dubbi, non si era trattato di un’allucinazione, ma di una presenza ben precisa e certamente non maligna, un’ultima traccia rimasta della sofferenza vissuta un tempo fra quei monti.
Quando Valeria aprì finalmente la porta del rifugio, la pioggia sembrò diminuire. Voltandosi, il profilo delle varie cime comparve per un attimo ai suoi occhi, illuminato in controluce dal bagliore di un ultimo fulmine.
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