martedì 20 novembre 2007

Nella mia carriera speleologica, specialmente da giovane, ho spesso immaginato quella che poteva essere la mia grotta ideale, la cavità che raggruppava tutte le caratteristiche per me ottimali.

Detto ambiente sotterraneo, nel corso degli anni, ha spesso cambiato la sua fisionomia, adeguandosi a quelle che erano le possibilità esplorative e le ambizioni di scoperta che via via caratterizzavano il mio percorso speleologico. Alcuni aspetti sono rimasti, però, costanti nel tempo: comunque deve trattarsi di una grotta relativamente comoda, senza salti verticali, ricca di concrezioni e con particolari “presenze” al suo interno.
Qualche anno fa ho scritto anche un raccontino che descriveva, in qualche modo, tale cavità ed oggi ve lo propongo. Se qualcuno conosce una grotta reale che racchiude al suo interno tutte le caratteristiche che di seguito saranno elencate, lo prego vivamente di farmelo sapere…

Il grande lago (racconto)

Paolo scavava oramai da qualche giorno all’interno di quella stretta fessura. Inizialmente si trattava di un semplice abbassamento del suolo in corrispondenza di una paretina di roccia, ma ben presto, dopo aver spostato qualche masso, era emersa la morfologia di una piccola galleria in leggera discesa. Non c’era ancora alcun movimento d’aria, ma le prospettive sembravano buone. Paolo lavorava da solo, portando all’esterno secchi di terra e di pietre più piccole. Talvolta, qualche roccia di maggiori dimensioni doveva essere spezzata in più parti prima di essere spostata, ma lui era al corrente di tutti i metodi utili a tale operazione.
Dopo essersi infilato in una specie di cavernetta, Paolo conficcò con vigore fra le pietre del fondo il suo fido piede di porco, che lui chiamava affettuosamente “strangolino mio”. Spingendo lateralmente sentì che l’ostruzione cedeva leggermente e quindi concentrò maggiormente le sue energie. Ancora uno sforzo e tutto il materiale sul quale stava lavorando precipitò nel vuoto. Con facilità riuscì ad afferrarsi ad alcune concrezioni che si trovavano alla sua destra e poté osservare, con una certa soddisfazione, la terra e le pietre che venivano come risucchiate da una specie di fessura e che si scaricavano in un ambiente sottostante. Quello che colpì maggiormente Paolo fu il rimbombo dell’eco, segno inconfondibile di ulteriori sviluppi. Ci volle un attimo perché pulisse l’apertura dagli ultimi detriti pericolanti e si infilasse nel passaggio. Oltre lo aspettava un ampio vano che, anche dalla prima occhiata, presentava delle caratteristiche inaspettate.
Paolo era giunto alla sommità di un grande ambiente, largo una trentina di metri ma alto almeno cinquanta, che in leggera discesa si perdeva nel buio. Da tutte le parti erano presenti bellissime concrezioni: stalattiti, stalagmiti e colonne erano visibili in qualsiasi direzione si posasse lo sguardo. Il pavimento era invece formato da una liscia colata calcitica, con piccole vaschette ricolme d’acqua. Paolo era semplicemente elettrizzato da quella scoperta e decise che bisognava procedere immediatamente nell’esplorazione. Iniziò così a discendere lungo quel vano, in direzione di quel grande nero che non riusciva a penetrare con la sua pur potente illuminazione. Si incamminò senza alcuna difficoltà, scendendo la lucida colata. La pendenza era lieve, ma costante, mentre le dimensioni notevoli di quel fantastico ambiente non sembravano diminuire. Rasentò alcuni laghetti di acqua azzurra e poté osservare il corso di un torrentello che lo seguiva nella discesa. Pur essendo la progressione estremamente facile, Paolo si rese ben presto conto che il percorso che aveva fatto era già alquanto lungo e che, nel contempo, non era ancora possibile vedere il fondo di quella immensa galleria. Non rimaneva che proseguire.
La discesa continuò a svilupparsi attraverso un ambiente sempre più suggestivo: ai tanti gruppi calcitici si affiancavano soffitti ricchi di cannule e stalattiti filiformi, vaschette piene di bianche pisoliti e superfici luccicanti di cristalli. Sulle pareti spuntavano candide eccentriche, dalle forme strane e sorprendenti.
Paolo avanzò ancora lungo la discesa, sempre più estasiato dalla sua scoperta. Ad un certo punto si rese conto di un rumore sordo e cupo: concentrando l’attenzione realizzò che si trattava di una cascata ricca d’acqua che precipitava all’interno di un vano di grandi dimensioni. Bisognava scendere ancora per raggiungere tale ambiente.
Procedendo con il cuore che batteva forte, Paolo arrivò finalmente ad uno slargo, si fermò, diede più pressione alla lampada a carburo ed alzò lo sguardo: quello che apparve ai suoi occhi fu sicuramente lo spettacolo più emozionante della sua vita. Davanti a lui si apriva un’enorme caverna contenente un vasto lago. Sulla destra, scendeva dall’alto un’imponente cascata d’acqua che, con il suo rumore e la sua schiuma, dava un senso di maestosità a tutto l’insieme. Il lago doveva essere molto esteso, in quanto non era possibile scorgerne i confini. Lo specchio d’acqua limpida si perdeva, infatti, in tutte le direzioni, per confondersi nel buio più profondo.
Affascinato dallo spettacolo, Paolo cercò di seguire la sponda di quel lago sotterraneo, ma ben presto si fermò in presenza di un inaspettato ritrovamento: dalla sponda si protraeva nell’acqua un molo. Si trattava a tutti gli effetti di un molo realizzato in pietra, regolare nella struttura anche se un po’ danneggiato dallo scorrere del tempo. Sulle sue funzioni non c’erano dubbi, in quanto si potevano scorgere addirittura le bitte in pietra dove, un tempo, venivano ormeggiate le imbarcazioni incaricate di solcare quelle acque.
Paolo decise che per il momento poteva bastare. Aveva visto cose che erano al di sopra di ogni sua aspettativa; aveva scoperto una cavità che superava ogni possibile desiderio.
Durante la via del ritorno, pensò a lungo sulle particolari caratteristiche di quella grotta. Si trattava, in pratica, di una lunga galleria, splendidamente concrezionata, che scendeva inclinata dalla superficie fino a grande profondità. Nella sua parte più profonda, tale galleria si immetteva in un vano interamente occupato da un vasto lago. Il volto di Paolo si illuminò quando, fatto qualche calcolo, capì di essere sceso fino al livello di base e di essersi quindi incontrato con il mitico Timavo. L’ampia caverna terminale permetteva di raggiungere, infatti, le acque del leggendario fiume, che scorreva da sempre nel profondo dell’altopiano carsico. Pensò che doveva trattarsi di un lago veramente vasto se, in un tempo passato, qualcuno aveva avuto la necessità di costruire perfino un molo per ormeggiare le barche utilizzate per esplorare quel vasto mare sotterraneo. Lui, quindi, non era stato il primo uomo a percorrere quel passaggio; qualcun’altro, nel passato, era già sceso lungo quella grotta ed aveva visitato il lago. Pensò che, probabilmente, il molo risaliva all’epoca romana e che quindi la cavità era già conosciuta duemila anni fa… Senza particolare fatica arrivò al cunicolo iniziale, nel quale si infilò per giungere ben presto all'esterno.
Paolo rimase a lungo a fissare lo stretto ingresso che aveva scavato e che conduceva al mondo fantastico che aveva appena percorso. Pensò all’importanza della sua scoperta ed alla necessità di procedere con accurate indagini. Poi pensò anche alle conseguenti visite degli studiosi, ai sopralluoghi dei politici, alle incursioni di cronisti, giornalisti, divulgatori e curiosi vari. Immaginò la massa di persone che avrebbe preteso di vistare la sua grotta e vide con gli occhi della mente anche i vandali che sarebbero inevitabilmente scesi per portarsi a casa qualche ricordo.
Paolo restò alcuni secondi fermo, osservando quel piccolo buco nel terreno, poi fece qualcosa che non si sarebbe mai nemmeno immaginato. Quasi senza rendersene conto, con il piccone fece franare il muro di contenimento che aveva diligentemente costruito e tutto il materiale estratto si riversò nuovamente nella grotta. Non interruppe il suo lavoro e spostò massi, accumulò terra e rami, finche - esausto - non ritenne di aver concluso il suo compito. Solo lui sapeva dove si apriva la grotta, per tutti gli altri ogni segno, ogni indizio era definitivamente scomparso.
Raccolse i suoi attrezzi e si diresse verso l’automobile. Paolo aveva cercato per tanto tempo una grotta nuova di grande interesse e, ora che l’aveva trovata, gli sembrava un risultato troppo grande. Quella che aveva scoperto, infatti, era una cavità troppo bella, troppo importante per offrirla a tutti. Aveva preso la sua decisione. Forse sarebbe venuto il giorno nel quale avrebbe comunicato il suo ritrovamento, o forse questo giorno non sarebbe mai venuto. Paolo si incamminò lentamente, cosa avrebbe detto ai suoi amici, come si sarebbe comportato dopo quello che era successo? Sorrise senza voltarsi indietro. Pensò che talvolta la vita riserva delle belle sorprese. Il ricordo di lui affacciato sul grande lago sotterraneo, con la cascata che rombava lì vicino, sarebbe rimasto impresso per sempre nella sua mente …



A conclusione del racconto faccio un piccolo commento: mi accorgo che sempre di più, con la maturità, mescolo gli aspetti naturali con quelli artificiali. Oggi non immagino una grotta se non con l’aggiunta di qualche preciso segno antropico, di qualche modifica o adattamento. Considero perfetta una cavità che presenti ricchi concrezionamenti, ma dove, nel contempo, sia possibile scorgere anche qualche piccolo particolare architettonico costruito, qualche resto di colonna o le tracce di qualche capitello. Ovviamente tali tipologie ipogee non esistono, o comunque sono estremamente rare. Ma sognare non costa niente e quindi perché non ricercare il meglio?

L’immagine, un po’ sgranata e risalente a molti anni fa, ritrae la parte terminale della grotta Lindner (n. 3988 VG) che - per le sue caratteristiche - si avvicina abbastanza alla mia cavità ideale (Foto Guglia)

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posted by Paolo at 15:40 |


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