martedì 11 marzo 2008
Chiedo scusa e lo faccio perché mi sto rimangiando le mie stesse parole. Avevo dichiarato che tutti i post pubblicati su questo blog sarebbero stati legati alle grotte, alle cavità, al sottosuolo. Avevo promesso che avrei cercato di attenermi il più possibile a questa regola, ma non ho resistito all’impulso che mi ha fatto rinnegare quanto affermato fino ad ora. Ebbene sì, oggi farò una grave eccezione. Di seguito troverete un racconto che non è collegato in alcun modo alla speleologia ed alle relative discipline. Si tratta di tutto altro, di un tema e di un’ambientazione completamente diversa.
Chi mi conosce sa quali sono i miei hobby preferiti: grotta, cavità, montagna e molto altro. Ma chi mi frequenta più da vicino conosce anche tutti i miei altri interessi: amo guardare e discutere di film, amo leggere e discutere di libri, mi interesso di tutto quanto riguarda i temi scientifici, naturalistici e storici. C’è però anche un’altra piccola perversione che mi contraddistingue: una passione sfrenata per la fantascienza, che spazia dai libri del “periodo d’oro” degli inizi del ‘900 a quelli degli autori più attuali e conosciuti, che parte dalla filmografia anni ’50 e ’60 in bianco e nero, fino alle ultime produzioni dai ricchi effetti speciali. Avendo la malsana passione di scrivere su tutto, ho anche prodotto qualche pagina di tema fantascientifico/fantastico. Per questa eccezione tematica propongo quindi un breve racconto risalente a qualche anno fa, dalle atmosfere buie e pessimistiche (chissà perché ci casco sempre…). L’argomento non è certo originale, ma il risultato finale non mi dispiace.


La strada è umida e posso vedere specchiate sull'asfalto le sagome degli edifici che mi sovrastano, debolmente illuminati dalla luna.
Silenzio. Mi sarei aspettato il silenzio in quest'occasione, ma non è così. Imposte sbattono alle folate di vento, fogli di giornale frusciano negli angoli più bui ed un lugubre lamento, quasi animale, percorre i vicoli deserti.
Si è concluso tutto in brevissimo tempo, pochi giorni per capire cosa stava succedendo e per comprendere che non si poteva fare più nulla. Pochi giorni per accettare e per morire. Un attimo per interrompere tutto ciò che c'era stato, che c'era e che non sarebbe più ritornato.
Non si è mai saputa l'origine del contagio, chi aveva sbagliato, chi forse aveva agito animato da malsane intenzioni, chi forse era stato travolto da qualcosa di troppo grande che gli era esplosa tra le mani... Giocare con la vita e con la morte è qualcosa di molto intenso, una sensazione di potere e di dominio. Qualcosa che ti fa sembrare Dio, qualcosa che puoi dominare o che ti può schiacciare, qualcosa che può finire anche molto male …
Si dice che sia partito dal Pakistan, o comunque da quelle parti. Penso che questo non abbia mai avuto importanza e forse è tutto falso, un ultimo tentativo per rimescolare le carte … Le prime regioni interessate furono l'India e la Cina, per poi ritornare ad ovest con la Russia e quindi l'Europa. Milioni di persone con un leggero stato febbrile, poi un rapido peggioramento, il collasso e la morte. Un virus mutato, forse inizialmente una semplice influenza, poi un letale attacco senza cura.
A chi moriva, alcuni giorni dopo il contagio, non interessava sapere se il virus fosse partito da un laboratorio dell'estremo oriente o da una cantina palestinese, da un ambiente attrezzato ed asettico di qualche agenzia governativa americana o dalle mani tremanti di un improvvisato biologo intriso di vendetta.
L'unica cosa che contava è che non si poteva fuggire in nessun modo. Ci si ammalava e si moriva. Tutti si ammalavano e morivano, anche gli animali.
Non so perché io sono stato risparmiato, non c'è una spiegazione logica. Tutti attorno a me, in pochi giorni, se ne sono andati. I miei cari, gli amici, gli altri …
All'inizio avrei voluto morire anch'io, impazzito dalla solitudine ed impietrito dal dolore, incredulo e quasi contrariato d'essere ancora in vita. Poi, con il tempo, mi sono dato un obiettivo, un fine. Se io ero sopravvissuto, forse c'era la possibilità che anche qualche altro sia rimasto vivo, sia scampato all'epidemia. Forse da qualche parte c'era qualcuno che vagava per le città deserte in cerca di qualche suo simile. E sono partito. Prima utilizzando qualche automobile trovata lungo la strada con un po' di benzina nel serbatoio, poi a piedi. Certo, per il momento, posso godere ancora di qualche comodità, interi magazzini pieni di merce e di attrezzature sono a mia disposizione, ma non mi trovo molto a mio agio nei centri abitati, forse per l'odore pesante che ancora pervade le vie. Alla sera cerco di andare via, di accamparmi alla periferia, fra gli alberi ed i cespugli, lontano dalle case malate ed insane.
Questa sera, però, dall'alto del colle dove ero in procinto di passare la notte, ho visto il falò. Un bel fuoco, acceso improvvisamente nel mezzo della piazza del paese che sovrastavo e di cui non sapevo neppure il nome. Alla vista di quella luce mi sono subito messo a correre, sperando nella presenza di qualche superstite. Chi poteva aver acceso quel fuoco, chi si scaldava al calore di quel falò, chi avrei trovato in quella piazza?
Non ci ho messo molto tempo, per scendere dalla collina. Dieci minuti, non di più, e mi sono trovato nell'ampio slargo, con il cuore in gola e lo sguardo a cercare qualche figura amica fra i chiaroscuri prodotti dalle fiamme vigorose.
Poi la delusione. Non si è trattato di un fuoco acceso da mano umana, ma della perdita di gas di una tubazione corrosa che ha incontrato una scintilla accidentale, forse lo sfregamento di due rottami metallici, o l'ultimo guizzo di un cavo elettrico oramai quasi privo di alimentazione. Non si è trattato di un fuoco innescato da mano umana, ma di un evento fortuito, un fatto imprevedibile legato oramai al solo volere della natura e del destino, una circostanza casuale che non contempla più la presenza dell'uomo.
Lasciata alle spalle la piazza con i suoi bagliori, percorro la strada umida, debolmente illuminata dalla luna. Silenzio. Per un attimo il vento si è placato e posso finalmente sentire il suono leggero dei miei passi. Sono solo, ma non ho perso completamente la fiducia. Non mi rimane che proseguire, visitare le città, attraversare i paesi, alla ricerca di chi può essere sopravvissuto come me. Non so quanto tempo ci vorrà, mesi o anni, ma è l'unica cosa che mi è rimasta.
Sono vivo solamente perché alla continua ricerca di chi forse è rimasto vivo. Rimarrò vivo finché continuerà la mia ricerca. Quando avrò raggiunto un altro superstite potrò finalmente morire… e forse allora non mi dispiacerà nemmeno.
Per il momento cammino, cammino e cammino, visito le città ed attraverso i paesi...
Mi trascino nell'ansante ricerca di chi probabilmente non c'è più, seguendo un ultimo desiderio a cui far aggrappare la mia disperata ed oramai stanca voglia di vivere.

(da un sogno, 20.9.2004)

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posted by Paolo at 22:41 |


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