martedì 30 dicembre 2008
Sono finalmente arrivate le Feste… Visto il mio carattere scorbutico e preso atto della mia predisposizione ad un comportamento schivo e tendenzialmente “selvatico”, eccomi nuovamente a brontolare su questo periodo di gioie forzate e di falsi compiacimenti. Mi spiego meglio, perché l’argomento è delicato e non voglio offendere nessuno. La festività del Natale ha sicuramente un’indiscutibile valenza religiosa ed una notevole importanza per chi crede e vive consapevolmente la propria sfera spirituale. Su questo nulla da dire, ma devo osservare che sono ben pochi quelli che sentono questi giorni in un contesto “di vera fede” e sono tantissimi, invece, quelli che si fanno coinvolgere solamente dagli aspetti più commerciali e folcloristici della ricorrenza. Regali a tutti i costi, falsi perbenismi, un indistinto sentimento di “buonismo” forzato ed a tutti i costi... Sarò controcorrente, ma non mi piace questa atmosfera. Alla televisione si ripropongono film melensi e già visti cento volte, le strade brillano di costose luminarie, tutti corrono nei negozi per acquistare doni e strenne, tutti sono inevitabilmente felici, mentre l’economia va letteralmente a gambe all’aria, si profilano all’orizzonte licenziamenti e cassa integrazione e lo stipendio non basta più per arrivare a fine mese. Vero momento di comprensione e di consapevolezza del messaggio profondo del Natale, oppure occasione commercialmente forzata per rendere la gente, suo malgrado, stupidamente felice? Io propendo, tristemente, per la seconda ipotesi.
Altro discorso, invece, è quello legato alla festività del Capodanno. La preferisco perché la considero una ricorrenza più legata al tempo che passa, allo scorrere delle stagioni, ad un concetto di “ciclo naturale”. E’ un momento per tirare qualche piccola somma, per fare un bilancio personale e per pianificare l’immediato futuro. La chiusura di un anno permette di analizzare quanto di positivo c’è stato, di valutare gli eventuali errori, di ripensare ai propri comportamenti ed alle proprie scelte. L’inizio di un nuovo anno permette, nel contempo, di proporsi nuovi obiettivi ed inediti traguardi.
Speleologicamente parlando, ad esempio, per me il 2008 è stato un buon anno, ho fatto alcuni lavori di soddisfazione (Teresiano, Sotterranei dei Gesuiti, …) , ho visto bei posti con tante cavità (Campania, Toscana, Lazio, …), ho frequentato gente simpatica e, quindi, non mi posso lamentare. Spero che il 2009, partendo da tutto questo, permetta la continuazione di quanto già avviato, con ulteriori piccoli successi e tanti progetti interessanti e costruttivi da realizzare.
Se dalle pagine di questo blog non ho augurato a nessuno il Buon Natale (chi ci teneva, mi perdoni), colgo l’occasione (anche sulla base dei ragionamenti sopra riportati) di augurare, invece, un Buon Anno Nuovo. Che il 2009 sia per voi un periodo di serenità e di consapevolezza. Che la salute sia buona e tanta la voglia di fare. Che i vostri piccoli obiettivi vengano raggiunti, non solo per il risultato finale, ma anche per il percorso di attenzione e di impegno che essi comportano. Vi auguro grandi gioie nel campo degli affetti: trovatevi un compagno/a e vogliatevi bene, appagatevi nell’intimo scambio di parole, pensieri, sentimenti e “cocolezzi” ed aggiungete un pizzico di buon sesso che non fa mai male. Chi il compagno/a c’è l’ha già, se lo tenga stretto, godete delle piccole cose che fanno grande una coppia e dimenticate tutte le altre piccole cose che possono farla scoppiare. Amore è comprendere ed apprezzare anche gli aspetti negativi dell’altro, non solo quelli positivi. Cercate, poi, di essere sempre consapevoli di quello che siete e di quello che fate. Tutto pesa nella vita, parole, gesti e pensieri, e quindi siate coscienti delle vostre azioni e di quello che ne consegue. Cercate, inoltre, di essere aperti agli altri e alle cose nuove, e quindi “sperimentate, sempre e comunque…”. Per finire, vi auguro anche un buon anno sotto l’aspetto speleologico. Che il sottosuolo vi dia tutte le soddisfazioni che meritate, sempre se il “mondo di sotto” si configura come una delle vie lungo le quali cercate una parte della vostra realizzazione.

Riassumendo, un grande augurio per uno splendido, felice e fantasmagorico 2009 a tutti voi.

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posted by Paolo at 07:04 | 0 comments
domenica 28 dicembre 2008
Penso che tutti, camminando per il nostro Carso, si siano imbattuti - prima o poi - in qualche particolare costruzione di pietra, dall’aspetto strano e quasi misterioso. Se si cerca un po’ nei libri, però, è facile verificare come dette costruzioni, chiamate tecnicamente “casite”, non siano altro che semplici ripari per i contadini che dovevano lavorare nei campi lontano da casa. Contrariamente a quello che si può pensare, non sono opere molto antiche (avranno al massimo qualche secolo) e sono state realizzate utilizzando le tante pietre che venivano levate dalle campagne e di norma accumulate in grandi mucchi o nei muretti.
Vi sono varie tipologie, tutte codificate, di queste costruzioni che considerano se la casita è isolata o attaccato ad un muro, oppure se la pianta è circolare o quadrata, analizzando tutte le altre varie caratteristiche costruttive come il tipo di copertura, la presenza di finestre, le particolarità dell’ingresso, ecc.
Queste costruzioni sono diffuse non solo sul nostro Carso, nella vicina Istria ed in Dalmazia, ma anche in Puglia, Francia, Spagna ed in Grecia (direi quasi in tutti i paesi del Mediterraneo).
Ovviamente, essendo costruzioni legate all’agricoltura ed alla pastorizia, oggi sono in grande maggioranza abbandonate e rischiano letteralmente di scomparire. Io, durante le mie camminate in Carso in cerca di grotte, ho spesso incontrato queste strane costruzioni e, se possibile, ogni volta ho fatto il posizionamento con il GPS ed almeno una fotografia di documentazione. Ritornando negli stessi luoghi, ho scoperto che a distanza di qualche anno alcune casite erano letteralmente scomparse, perché crollate e quasi mimetizzate con le pietraie circostanti.
E’ un peccato che questi piccoli ripari continuino a scomparire inesorabilmente, nella completa noncuranza di tutti. Certo, non sono opere architettonicamente evolute, ma rappresentano comunque gli ultimi concreti esempi di quella cultura del “costruire con la pietra” di origine contadina, che oggi si è completamente persa sostituita dal cemento e dalle strutture prefabbricate.
Nei miei girovagare in Carso continuerò a documentare queste costruzioni e, quando possibile, raccoglierò informazioni per localizzarne delle nuove. Non è che un ridottissimo contributo, ma possiedo alcune fotografie di casite che forse rappresentano l’ultima testimonianza visiva di alcune costruzioni che oggi non esistono più. Sarà tutto legato al mio carattere, ma ogni volta che una testimonianza del passato si distrugge e scompare, per me è una cosa molto grave che mi ferisce.

Nella foto si possono vedere alcune delle tante casite rinvenibili sul Carso triestino (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 17:26 | 0 comments
venerdì 26 dicembre 2008
Ho sempre avuto la mania di scrivere, fin da giovane. In certi periodi rallento e penso di più, in altri produco una quantità esagerata di pagine. Non tutte mi soddisfano, però, e talvolta faccio una spietata selezione. Sul Blog ho postato vari miei scritti di fantasia (oltre alle relazioni ed alle considerazioni sul mondo sotterraneo) e, guardando a questi ultimi due anni, ho deciso di fare un po’ di ordine, sistemando e raccogliendo (in modo virtuale) le varie pagine che ho prodotto.
E’ così emerso che ho pubblicato ben 24 raccontini, che seguono anche una certa logica.
Ho scoperto, ad esempio, che per quanto riguarda le presenze fantastiche in grotta ho prodotto una curiosa trilogia, parlando di incontri con dee protettrici della terra (Gea), con mostri cattivi (L'essere) e con creature angeliche (Lui).
Poi, ho aperto un filone di scritti che hanno visto come protagonista uno speleologo di pura fantasia (???) che ho chiamato Marco, esperto di animaletti e bacherozzi vari, al quale - all’inseguimento di strani animali (Topo e Toporagno) - ho fatto fare spesso una brutta fine, risollevando la sua triste situazione solamente in un ultimo caso (Una grotta da sogno).
C’è stato anche un protagonista di nome Piero, scavatore ed indefesso disostruttore (La voragine) ed un altro di nome Rocco, bloccato dall’innalzarsi del livello dell’acqua (Piena). Entrambi mi ricordano qualcuno che conosco.
Alla fine, una parte dei racconti si è rivolta pure al mondo femminile: un testo dai risvolti sexy che vede come personaggio principale Sara, che originariamente doveva chiamarsi Valeria (Passione sotterranea), e poi un’avventura che - pur vedendomi protagonista - ho dedicato all’amica Giara (Festa in miniera).
Quello che è sempre prevalso (dipende probabilmente dal mio carattere…) è il filone “del mistero”, con ambientazioni tetre e di paura, come nel caso dei racconti dedicati al “battaglione fantasma” del Canin (Valeria camminava veloce) o ad altre situazioni inusuali e paranormali (La lunga discesa e Un'ombra nel buio 2).
Ci sono stati, in ogni caso, anche dei racconti quasi autobiografici che, pur con risvolti di fantasia, hanno trattato di vicende veramente vissute nella mia carriera di speleologo (Solo) e delle strane sensazioni che ho provato nei sotterranei dei Gesuiti (Un'ombra nel buio 1 e La cornice di pietra), infilato in una disagevole fessura (La strettoia), o affacciato un profondo pozzo (Vertigine). Ma vi sono stati anche temi più generici, come una mia personale visione di ciò che dovrebbe essere una grotta (La grotta ideale) o le sensazioni provate su un costone carsico affacciato sul mare (Vento).
Per finire, ho parlato semplicemente dell’acqua che scorre nelle sue varie forme (Acqua), di alcune situazioni che possono essere percepite in modi diversi a seconda di chi è il soggetto interessato (Eroe) ed ho inserito - con mossa subdola - anche un raccontino di pura fantascienza che non centra nulla con le grotte, ma che mi pareva abbastanza interessante(La strada è umida).
Come ultima annotazione, voglio evidenziare il breve testo che prediligo e che - a suo modo - mi ha sempre commosso: non è certamente autobiografico, ma traspare fra le righe lo spirito di un vecchio speleologo che non si arrende completamente agli acciacchi degli anni che avanzano (L'orlo del pozzo).

Questa è la mia scarna produzione, o meglio la parte dei miei scritti di carattere più o meno speleologico che ho deciso di inserire nelle pagine del Blog. Siccome non ho mai ricevuto proteste vere e proprie, ma solo leggeri apprezzamenti, penso che continuerò a postare altri racconti, a meno che qualcuno non mi inviti esplicitamente a desistere.
Tutto dipende, quindi , da voi lettori…

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posted by Paolo at 10:32 | 0 comments
venerdì 19 dicembre 2008
La SAS ha recentemente avviato un programma di monitoraggio riguardante l’acquedotto Teresiano. Non c’è ancora nulla di ufficiale, ma sono state richieste al Comune le autorizzazioni per procedere ad un ciclo di verifiche sui livelli dell’acqua presenti nelle Gallerie Superiori, alle spalle del Capofonte. Come molti sapranno, nel 2008 sono stati effettuati dei lavori lungo la via che passa parallela al Capofonte e, in tale occasione, sono state effettuate delle attività che si possono definire per lo meno discutibili. E’ stato interrotto il tubo che originariamente collegava le Gallerie Superiori con il Capofonte, è stato realizzato un criticabile pozzetto che avrebbe dovuto convogliare i nuovi flussi d’acqua, è stato poi ricoperto il tutto in modo da rendere quasi definitiva la situazione. Questi lavori hanno però comportato un anomalo deflusso dell’acqua nel tratto compreso fra le Gallerie Superiori ed il Capofonte, con conseguente allagamento delle stesse gallerie, una riduzione della portata idrica al Capofonte e la nascita di una “risorgiva spontanea” in un’aiuola di via Piero della Francesca. Come si può facilmente capire, tali lavori effettuati in maniera maldestra hanno pesantemente alterato gli equilibri di flussi idrici oramai stabilizzati da anni, portando l’acqua a crearsi nuovi percorsi per ora sconosciuti se non negli sbocchi finali.
Riassumendo: si alza l’acqua nelle Gallerie Superiori perché è stata alterata la normale via di deflusso, nello stesso tempo si riduce la portata all’interno del Capofonte, perché le acque seguono una nuova via non ben definita e, infine, l’acqua che non passa più per il Capofonte emerge inaspettatamente in un prato posto in posizione sottostante, allagando aiuole ed un tratto di strada.
Non c’è che dire, una situazione molto delicata che si è presentata esattamente in corrispondenza dell’ultimazione dei lavori eseguiti lungo la strada presso il Capofonte. E’ evidente, poi, che si tratti proprio dell’acqua del Teresiano, perché la “risorgiva” presenta variazioni di portata legate alle piovosità, quindi non perdite di tubazioni ma flussi raccolti dal terreno e dovuti alle piogge, in pratica le acque delle Gallerie Superiori, collettori sotterranei che sono stati realizzati proprio per questo scopo (vedi teoria delle Wassergallerien).
La prima visita di monitoraggio, eseguita in data 15 dicembre 2008, ha portato a questo risultato: Gallerie Superiori impraticabili perché completamente allagate, con un livello dell’acqua di circa 140 cm superiore al livello medio (tale livello medio si riferisce alla quota di equilibrio raggiunta dall’acqua quando tutta la portata raccolta dalle gallerie riusciva ad essere smaltita ed allontanata dalle gallerie stesse).
Forse faremo ancora un tentativo nel corso del corrente mese di dicembre. Sicuramente verrà fatta un ulteriore visita di controllo nel mese di gennaio e speriamo che, per allora, ci siano pervenuti i permessi per avviare ufficialmente la campagna di monitoraggio.

L'immagine mostra il fondo del pozzetto di accesso alle Gallerie Superiori, con l'acqua che non permette di proseguiro oltre (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 16:46 | 0 comments
sabato 13 dicembre 2008
E’ da un po’ di tempo che non scrivo qualche racconto per il blog. Così mi sono concentrato ed ho immaginato un finale un po’ diverso per una gita fatta recentemente dalla SAS. Solo un volo di fantasia, ma anche un argomento intrigante ed a suo modo affascinante, che ho già trattato. Le righe che seguono le dedico alla mia amica Giara…

E’ stata una splendida giornata. Dopo aver raggiunto l’entrata della miniera e sistemato il campo, abbiamo avuto tutto il tempo per raccogliere la legna, preparare un bel cerchio di pietre e tirare fuori dagli zaini le abbondanti riserve di viveri che abbiamo portato con noi. Costine, salcicce, braciole, opportunamente condite da vino e birra. La serata si è quindi svolta con tranquillità: canti, risate e buona compagnia. L’anfratto dove abbiamo sistemato il campo si presta in maniera ottimale. Un luogo riparato, asciutto, da un lato quasi proteso su una valletta nella quale scorre un fresco torrente di montagna. Un vero spettacolo, specialmente quando la luna piena spunta dal costone di fronte, illuminando con la sua luce azzurrina le rocce e gli alberi circostanti. Alle nostre spalle, i vari imbocchi delle gallerie estrattive. Anfratti scuri, ben poco attraenti con la discesa delle tenebre, passaggi che abbiamo già esplorato ma che ora non invitano certo ad una visita notturna.
Dopo la baldoria, non è rimasto altro che prepararci per andare a dormire. Qualcuno ha piantato la tenda, io ho preferito rimanere all’aperto in compagnia di Marco. La stanchezza della giornata e l’alcol bevuto mi hanno quasi portato ad un leggero stato di torpore. Quindi ho disteso il materassino, mi sono infilato nel sacco a pelo e quasi subito mi sono addormentato. In pochi secondi l’atmosfera fumosa del campo si è dissolta e sono caduto in un sonno profondo senza sogni.

Non so se sia stato un rumore, oppure una specie di sensazione quella che mi ha svegliato improvvisamente. Allungando il collo riesco appena a mettere il naso fuori dal cappuccio del sacco a pelo e, pur senza occhiali, distinguo abbastanza bene la piccola cavernetta nella quale ci troviamo, in controluce sullo sfondo del cielo sereno e leggermente luminoso. La prima cosa che mi viene in mente è che qualcuno si è alzato per un bisogno improvviso, ma sento vicino a me il respiro regolare di Marco e riesco a vedere bene come la tenda sia ancora chiusa. Anzi, essendo io sdraiato proprio davanti al suo ingresso, nessuno sarebbe riuscito ad uscire, al buio, senza calpestarmi. Sto quasi per riaddormentarmi (saranno circa le quattro del mattino) quando un rumore improvviso mi fa riaprire gli occhi. Rimango immobile e dalla mia posizione riesco a guardare nella direzione di quel leggero scricchiolio. Passa qualche secondo di silenzio, poi vedo distintamente un’ombra che si scosta dalla parete per scomparire subito nell’oscurità. Non capisco bene. Qualche animale? Qualche curioso che è venuto a vedere chi ha deciso di passare la notte in questo strano posto di montagna, ben lontano da ogni centro abitato?
Quasi fissando l’oscurità, intravedo che ci sono più sagome indistinte che si muovono seminascoste nel buio. Saranno dei malintenzionati? Oppure degli amici che sono venuti a farci qualche brutto scherzo? Non comprendo cosa stia succedendo. Do un colpo a Marco che è sdraiato al mio fianco, ma lui emette solo un sospiro più forte e non si sveglia. Cosa fare? Non rimane che aprire una luce e vedere chi sono questi ospiti inattesi. Faccio scorrere silenziosamente la cerniera lampo del sacco a pelo, con un balzo mi metto a sedere e contemporaneamente accendo la torcia elettrica che porto sempre con me. Sono preparato a tutto (o quasi…), ma quello che mi appare davanti è uno spettacolo che non avrei mai nemmeno immaginato. A pochi metri da noi vi sono quattro figure che sono state letteralmente bloccate dal fascio di luce della mia lampada. Sarà stato l’alcol o l’improvvisa sveglia, ma non riesco a mettere pienamente a fuoco tutta la scena. Forse, semplicemente, non voglio accettare completamente quello che appare davanti ai miei occhi. Non sono persone quelle che mi stanno fissando. Si potrebbe quasi parlare di caricature di uomini. Figure magrissime, seminude, dalla pelle grinzosa e biancastra. Sporche, deformi, quasi rattrappite. Allo stesso tempo, però, agili nei movimenti. Sorprese dalla mia luce hanno tutte reagito con rapidità, saltando, girandosi, dimenandosi quasi fossero scottate dal raggio luminoso. Io, sbalordito, non so cosa fare. Con la voce non molto ferma, riesco solamente a gridare “Chi siete, cosa volete…”. In un attimo, due di queste sagome si gettano fuori dall’ampia finestra che domina la valle. Altri due esseri, invece, passano dietro alla tenda, ribaltano gli zaini e qualche bottiglia mezza vuota avanzata dalla cena e, con un balzo, si infilano nelle gallerie buie della miniera. A tutto questo rumore, i miei compagni si svegliano. Si accendono più luci, la tenda si apre e tutti vogliono capire cosa stia succedendo. Io, ancora mezzo intrappolato nel sacco a pelo, farfuglio in maniera isterica indicando le due direzione nelle quali sono scomparse quelle strane e spaventose creature. Le torce sciabolano nella notte. Gli amici domandano, si preoccupano, cercano qualche indizio, qualche prova, ma non trovano nulla. Quando dico, poi, che due di quegli esseri sono saltati da quella specie di terrazzo che si affaccia sulla profonda valletta, vedo che inizia a serpeggiare qualche dubbio. Illuminando la parete quasi verticale che scende fino al torrente, è ben difficile pensare che qualcuno, con un balzo, sia potuto scendere da quella parte. Allora indico le tracce sul pendio di detriti che porta alla parte profonda della miniera, segni di lunghi passi che si allontanano dal campo, ma anche in questo caso mi dicono che sbaglio, che sono semplicemente le nostre tracce, che di lì siamo passati noi…
Sono impaurito, frastornato e sono scosso da brividi che mi salgono lungo la schiena. Cosa ho visto veramente? Chi abbiamo incontrato in questa notte fredda di montagna?
Gli altri la prendono con allegria. Mi dicono che sono ubriaco e che devo curarmi se sono soggetto ad incubi notturni. Rientrano nella tenda e riprendono a dormire come se niente fosse. Per quanto mi riguarda, non mi sfiora nemmeno l’idea di riaddormentarmi. Trovo una parete protetta, con ampia visibilità tutt’attorno, e mi accovaccio in una specie di nicchia della roccia. Rimarrò qui per tutto il tempo necessario, aspettando la luce del giorno. Non chiuderò occhio, perché questo è semplicemente impossibile dopo aver visto quello che sono convinto di aver visto. Non si è trattato di allucinazioni o di incubi. Io ho visto quelle creature. Esseri che sono usciti dalle gallerie della miniera e che, probabilmente, vivono nella parte più oscura di quei cunicoli. Durante la nostra esplorazione non abbiamo visto nessuna traccia della loro presenza, ma questo non vuole dire nulla, vi sono mille fessure, numerosi camini, tanti punti nei quali nascondersi. Solo una verifica attenta potrebbe rintracciare questi passaggi, ma certo non sarò io ad organizzare una ricerca di questo genere. Personalmente, non voglio più avere alcun contatto con questa miniera, con le sue gallerie oscure e con chi, senza mai farsi vedere, abita i suoi anfratti nascosti. Certo, siamo noi i disturbatori, quelli che hanno invaso il loro mondo rimanendo perfino durante la notte, quando il buio scende su ogni cosa ed avvolge indistintamente in dentro ed il fuori della roccia. Cosa volevano quelle strane creature? Erano intenzionate a farci del male o erano semplicemente curiose? E chi sono realmente quegli esseri? Vecchi minatori che vivono isolati nelle profondità del sottosuolo? Oppure eremiti deformi che hanno deciso di sparire dal mondo della luce per rifugiarsi nell’universo dell’oscurità? Non lo sapremo mai.
Aspetto solo che il sole sorga ed ogni più piccolo rumore mi fa sobbalzare. Nelle mani stringo il mio fedele coltello a serramanico, ma sono quasi convinto che non avremo più altre sorprese, per questa notte. Domani, con la luce, cercherò di convincere i miei amici a scendere il prima possibile verso valle. Farò lo spiritoso, dirò che – ovviamente – mi sono sbagliato, offrirò da bere a tutti ridendo delle mie visioni. Ma dentro di me so che è tutto vero. Io ho visto veramente quelle figure nella notte.
Speriamo che l’alba arrivi rapidamente…

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posted by Paolo at 18:54 | 2 comments
lunedì 8 dicembre 2008
Solo a poche miglia a nord di San Francisco (California), in un canyon isolato, cresce un’antica foresta di redwoods (sequoie), conosciuta con il nome di Muir Woods. Si tratta di un piccolo parco nazionale che offre solitudine (è poco frequentato), vari percorsi segnalati ed un fitto bosco di alberi giganti alti più di 70 m e vecchi di mille anni. Tutto questo non centra nulla con la speleologia ma, cercando delle immagini nel computer, ho trovato alcune foto che mi hanno ricordato la mia visita negli U.S.A. e la gita che ho fatto in questa foresta. Devo dire che allora, anche a costo di farmi deridere dai colleghi che erano con me in quel viaggio, ho abbracciato forte uno di questi alberi. Chi fa queste cose dice di sentire particolari vibrazioni che vengono trasmesse dal tronco. Io non so cosa ho sentito, ma qualcosa mi è arrivato. Sarà stato lo splendido bosco attorno, la bellezza disorientante di quelle piante alte, vecchie e sagge (ovviamente è un modo di dire ma la parola saggio, sul momento, non mi è sembrata poi così fuori luogo…), l’atmosfera permeata dalle nebbiolina della mattina, in attesa che salga il sole all’interno dello stretto canyon, ma qualcosa - alla fine - quegli alberi mi hanno trasmesso. Loro erano già in quella valle 10 secoli fa, loro hanno visto tante cose, loro - probabilmente - hanno capito tante cose.
Di quella visita conservo sicuramente un ottimo ricordo e quindi posso solo immaginare cosa voglia dire andare a vedere gli altri grandi, e ben più famosi, parchi nazionali americani. Non disperiamoci, però. C’è ancora tanto tempo per ritornare in queste terre che, per quanto riguarda gli aspetti naturalistici, presentano certamente grandi potenzialità. Forse, quando andrò in pensione…

Nell'immagine, la proporzione fra i sentieri (belli larghi) e le dimensioni dei tronchi permette di capire la grandezza e l’imponenza di quelle sequoie (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 16:30 | 0 comments
domenica 7 dicembre 2008
L'altra domenica (30 novembre) si è dimostrata veramente piacevole: ultima uscita del corso di speleologia e cena finale in gran compagnia. Ma c’è stato di più: abbiamo visitato la grotta Lindner (n. 3988 VG - grotta molto conosciuta perché arriva fino alla profondità di 170 m e chiusa da un pesante cancello) in condizioni che - per quanto mi riguarda - considero particolari e quasi straordinarie. Mi spiego. La grotta Lindner è una cavità che ho visitato varie volte, in passato. Una cavità relativamente semplice, ma che presenta tutta una serie di passaggi estremamente “didattici”, cioè adatti all’insegnamento delle tecniche di progressione. Ci sono i lunghi scivoli da scendere, il traverso sopra il laghetto, la risalita lungo il camino, qualche punto un po’ più stretto ed un pozzo breve ma che presenta varie tipologie di spezzamento della corda. A tutto questo, durante la nostra uscita, si è aggiunta anche una condizione idrica particolare. Intendiamoci, nulla a che vedere con gli inghiottitoi attivi del vicino Friuli o con i meandri del Canin, che possono essere travolti da ondate di piena in occasione di grandi piogge. Nel nostro caso, però, anche la grotta Lindner, che io in altre occasioni ho visto quasi asciutta e caratterizzata solo dalla presenza di grandi masse di fango nella sua parte terminale, si è dimostrata un vero e proprio collettore delle acque meteoriche. Non certo cascate, ma forti stillicidi e piccoli rivoli che fluivano da tutte le parti, fino ad incontrarsi in un ruscelletto che interessava la parte profonda della cavità. Quello che mi è più piaciuto, e che mi ha fatto venire un po’ di nostalgia per i vecchi tempi, è stato il rumore dell’acqua. Le tante gocce che cadevano dall’alto, i numerosi rigagnoli, il torrentello che scendeva fra le colate e le concrezioni, provocavano un rumore preciso ed inconfondibile, il gorgogliare dell’acqua che scorre, che mi ha fatto ricordare le tante esplorazioni fatte in grotte che, in alcuni casi, vedevano un vero e proprio fiume gettarsi nelle loro imboccature.
Penso che la risalita sotto il bel “spinello” d’acqua che si gettava nel pozzo sia stata una bella (ed umida) esperienza per gli allievi, che hanno finalmente iniziato a muoversi in maniera un po’ più sciolta. Certo, andare in grotta in autonomia è tutta un’altra cosa, ma c’è ancora il tempo (anche al di fuori del corso) per migliorare e perfezionarsi…

L’immagine ritrae una fase della discesa (Foto Guglia)

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posted by Paolo at 10:17 | 0 comments
martedì 2 dicembre 2008
Ritornando dall’uscita domenicale del corso, ho avuto l’occasione di parlare con una allieva sul rapporto tra l’uomo ed il sottosuolo e, ripensando a quanto detto in questa occasione, ho tratto alcune personalissime considerazione.
Intanto, il sottosuolo è un territorio degli estremi, quasi mai l’uomo è rimasto indifferente a questo mondo. Nel passato si aveva un innato terrore del profondo della terra, quale luogo buio, di paura, abitato da esseri mostruosi, se non - addirittura - terra dell’oltretomba. Questo è l’approccio che possiamo considerare “storico”, ovvero un’interpretazione che “temeva” l’oscurità perché non “conosceva” cosa si trovava dall’altra parte, una lunga fase durata fino a qualche secolo fa, durante la quale ben pochi avrebbero avuto il coraggio di inoltrarsi profondamente in una grotta. Poi sono venuti i primi geografi, i curiosi che hanno sfidato le paure ancestrali provando a vedere cosa c’era oltre l’ingresso buio e così, piano piano, è nata la speleologia. Oggi si sa perfettamente cosa si nasconde (solamente agli occhi delle masse, ma non certo delle persone che frequentano le grotte) sotto i nostri piedi, sia che si tratti di cavità naturali (vedi le infinite ricerche geologiche, idrologiche, biologiche, paleontologiche, ecc.), che di cavità artificiali (vedi gli altrettanti numerosi studi storici, architettonici, artistici, ecc.). Certo, non conosciamo tutto del “mondo di sotto” e molte sorprese potrebbero arrivare nel prossimo futuro, ma si tratterà solo di ritrovamenti particolari, di complessi ipogei di grandi estensioni, di stranezze morfologiche, ma nulla di veramente sconvolgente. Oggi, quindi, non dovremmo avere più paura del sottosuolo semplicemente perché lo conosciamo e abbiamo tutte le informazioni relative a cosa potremmo trovare al suo interno.
Ma poniamoci una domanda, sappiamo veramente tutto? Non potrebbe essere che - in qualche grotta particolare ed in presenza di certe condizioni - il filo della storia abbia subito una biforcazione, che l’evoluzione come la conosciamo noi abbia avuto un “incidente di percorso”, una deviazione? Che sottoterra ci siano (per ora ancora ben celate) delle realtà, delle presenze che non abbiamo mai preso in considerazione e che potrebbero rivelarsi all’improvviso?
Certo non nel Carso triestino, certo non in una delle nostre grotte frequentate e perfettamente conosciute, ma in qualche altro luogo nascosto, in qualche microambiente particolare, non potrebbe esserci stata una qualche eccezionale condizione che ha portato alla nascita (o meglio alla modificazione) di alcune forme di vita per il momento ancora ignote?
Ominidi prigionieri in vasti sistemi di grotte, oramai abituati a quell’ambiente e che si riproducono già da millenni? Forse animali strani che si sono evoluti in singolari nicchie biologiche, acquisendo caratteristiche e morfologie inaspettate? Certo sono solo fantasie, in quanto come potrebbero sopravvivere questi esseri che, pur essendo ai vertici della catena alimentare, non disporrebbero di prede di dimensioni ed in numero sufficiente. Ma possiamo proprio affermare che un’eventualità di questo genere sia completamente impossibile ed irrealizzabile? Io sono abbastanza scettico su tale possibilità, ma forse in qualcuno con la mente meno pragmatica della mia potrebbe insinuarsi il dubbio ed allora alcune grotte più isolate e meno frequentate diventerebbero luoghi dove potrebbe accadere l’imprevisto, dove potrebbe esserci qualche presenza non ancora manifesta, e forse anche ostile.
Ad ognuno la propria opinione su questo argomento. Per quanto mi riguarda continuerò a sentirmi a mio completo agio nel mondo sotterraneo, senza alcuna paura. Spero che questo, al di là di un primissimo approccio che inevitabilmente porta a qualche timore iniziale, succeda presto anche a tutti i neofiti (e le neofite!!!) della speleologia.

L’immagine riporta un fotogramma del film “The descent”, dove si intravede una forma di vita sconosciuta che semina il panico fra i membri di una spedizione che visita una grotta inesplorata (Attenzione: è solo cinema!!!).

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posted by Paolo at 22:17 | 0 comments