lunedì 5 febbraio 2007

Breve racconto, forse leggermente triste, ma al quale sono molto legato. L’ho scritto un po’ di tempo fa ma qualche volta, nel rileggerlo, mi emoziono ancora.

Paolo si avvicinò al bordo del pozzo, con il suo sacco di colore giallo acceso pieno corde e materiali. Era successo tanto volte nel passato e la buia apertura che occhieggiava di fronte a lui, riportava a momenti di serenità e giovinezza. Ma erano trascorsi tanti anni e molte cose erano cambiate. Le situazioni mutano, nel corso della vita. Un gioco di equilibri fra famiglia, interessi, lavoro, compiti, responsabilità e progetti. Più che di equilibri, molto spesso si tratta di compromessi, tentativi di conciliare dovere e volere, te stesso e gli altri.
Paolo non si sentiva bene, era da un po' di tempo che faceva finta che tutto fosse normale, ma purtroppo non era così. Non solo i piccoli acciacchi dell'età, non solo la mancanza di allenamento che rende pesante e penoso quello che un tempo era facile e divertente, ma anche qualcosa di più. Il medico era stato chiaro. Se si fosse interessato prima, se si fosse preoccupato ai primi sintomi, se, se …
Ma non è andata così.
Paolo non si era mai interessato a quei dolorini, alle sensazioni strane che a volte provava, al malessere che a momenti l'assaliva, perché era qualcosa che sarebbe passato non appena avrebbe avuto un po' di tempo da dedicare a se stesso. Bastava curarsi di più, stare attenti nel mangiare e nel bere, fare un minimo di movimento fisico, superare l'angoscia che l'attanagliava quando pensava al lavoro e tutto si sarebbe risolto. Non era ancora il momento, c'erano tante cose da fare, tanti obblighi e necessità, ma prima o poi, con un po' di attenzione e sacrificio, tutto si sarebbe risolto.
Ma non è stato così.
Si avvicinò ulteriormente all'orlo, cercando con gli occhi i chiodi dove tante altre volte aveva fissato i moschettoni, stendendo le corde e scendendo nel vuoto in compagnia degli amici. Trovò subito il punto di attacco e, con movimenti lenti, fece un nodo perfetto all'estremità della fune. Era sempre stata una sua mania quella fare dei nodi da manuale: anche se non eseguiti a regola d'arte sostengono sempre lo stesso carico, ma la perfezione è segno di tecnica ed esperienza, e Paolo possedeva entrambe.
La corda, quindi, si allungò nel vuoto, filo sottile che si perde nel buio. Non rimaneva che posizionare il discensore, controllare ancora una volta i moschettoni e scendere.
Paolo guardò il bosco di pini che rigoglioso cresceva sulla destra e la boscaglia, di un verde intenso, che rivestiva la dolina. Seguì con lo sguardo, gli arbusti, i fiori, i singoli fili d'erba che spiccavano chiari, illuminati dal sole, contro il nero profondo dell'abisso.
Erano belli quei fili d'erba. Erano stupendi quegli alberi. Era caldo il sole.
Paolo, dopo aver osservato un'ultima volta tutto questo, sorrise, scavalcò l'orlo del pozzo senza alcuna indecisione e puntò direttamente verso il nero, che per lui rappresentava serenità e momenti felici. Scese veloce passando dalla luce al buio, che lo circondò e l'avvolse. Per sempre.
Il giorno dopo, gli amici che lo cercavano trovarono il sacco di colore giallo acceso, con sopra ben posizionati alcuni moschettoni, il discensore e l'attrezzatura di risalita.
Paolo aveva deciso che, per quella volta, era meglio un rapido volo incontro all'oscurità ed all'oblio. Non era più necessario risalire. Per l'ultima esplorazione, quella luminosa giornata di sole era proprio l'ideale.
Gli amici, quando compresero, si sedettero sul bordo del pozzo e piansero in silenzio ….

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posted by Paolo at 21:58 |


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