giovedì 17 gennaio 2008
Devo confessarlo. Nei miei racconti di fantasia ho la tendenza a costruire i personaggi basandomi su persone reali. Quando parlo di Sara, per esempio, penso a qualcuno che conosco bene, così come quando scrivo di Marco. Le vicende narrate sono completamente inventate, ma certe caratteristiche o particolarità dei protagonisti sono ricavate dai corrispondenti soggetti in carne ed ossa. Ritornando a Marco, ho scritto un racconto nel quale ha fatto la fine del topo ed un altro nel quale il destino gli ha riservato un finale forse anche peggiore. Per l'affetto che porto all’amico ispiratore, voglio ora trascinare questo personaggio di fantasia in una situazione la più gratificante ed appagante possibile. Il risultato è quello che vi riporto di seguito.

Una grotta da sogno

Marco possedeva varie certezze relativamente alla sua lunga attività speleologica, ma quella più chiara e precisa riguardava la sua sfrenata passione nei riguardi dello scavo che aveva intrapreso in un dolina del Carso triestino. Un punto interessante, già segnalato dagli esperti ed in corrispondenza del quale era possibile rinvenire un potente soffio d’aria in occasione delle piene del Timavo.
Tutto era cominciato quasi per gioco, con un piccolo assaggio fra le pietre a seguire il sospiro del fiume ipogeo ma, con il tempo, l’attività di scavo si era trasformata in una vera e propria missione. Con costanza ed ostinazione, assieme al suo fidato amico, Marco aveva spostato massi, estratto terra, spaccato rocce e puntellato pareti, fino ad arrivare a quasi quaranta metri di profondità. Per lui, alla fine, non era tanto importante il dislivello raggiunto, quanto la solidità del cantiere e la sicurezza della struttura sotterranea nella quale operava.
Il giovane dedicava allo scavo alcune serate alla settimana, con qualsiasi tempo e clima, e procedeva nei lavori con sempre vivo entusiasmo ma senza aspettarsi risultati immediati.
Quel lunedì, sempre accompagnato dall’amico fidato, era sceso per controllare la base del pozzetto in corrispondenza del quale si erano fermati la volta precedente. Marco stava cercando di rompere una lama di roccia con la mazzetta, quando sentì nell’aria uno strano rumore. Era come un rimbombo lontano, una specie di cupo boato. Tese meglio l’orecchio per cercare di identificare l’origine di tale rumore, finché una strana vibrazione scosse tutto l’ambiente nel quale si trovava. Con un sussulto più forte, sembrò che il pavimento si alzasse all’improvviso, per poi sprofondare velocemente. Marco rimase come sospeso su una specie di cengia, mentre tutto attorno si potevano vedere massi e rocce che si sbriciolavano. La polvere si alzò come un sipario su tutta la scena, appena illuminata dalla scarsa luce dello speleologo. Ci vollero vari minuti prima che la situazione si stabilizzasse e che ritornasse una visibilità sufficiente. A questo punto, Marco ebbe la possibilità di osservare meglio attorno a se: si trovava su un terrazzo sospeso sopra un grande vano. La frana aveva tolto di mezzo una vecchia occlusione, formata da detriti accumulatisi nei millenni. Ora, il passaggio si era finalmente liberato e l’accesso alla caverna era stato ripristinato. La prima cosa che Marco notò fu la leggera luminescenza che permeava quel vuoto, una specie di luce opalescente che permetteva di vederne l’intero sviluppo: non si trattava di un ambiente grande, l’unica parola possibile per descriverlo era immenso! Si poteva scorgere il perimetro dell’enorme sala che si perdeva a centinaia di metri di distanza. La grotta era caratterizzata da imponenti gruppi calcitici, con stalattiti, stalagmiti e colonne che raggiungevano varie decine di metri di altezza. C’erano vaschette piene d’acqua, o meglio, si poteva parlare di veri e propri laghetti azzurri e profondi. Marco, con qualche difficoltà, si calò lungo la parete e raggiunse il pavimento. Da una parte si poteva vedere, forse duecento metri più in basso, scorrere un grande fiume che lo speleologo riconobbe subito - pur incontrandolo per la prima volta - come il mitico Timavo. Iniziò la lenta discesa, ammirando le tante strutture cristalline che lo circondavano. Osservando più attentamente una pozza d’acqua, Marco si accorse che al suo interno vi erano delle forme di vita. Avvicinandosi, poté osservare alcuni esemplari di proteo, ma dalle caratteristiche decisamente diverse dal solito: un colorito più scuro, quasi marroncino, e dimensioni straordinarie, quasi il doppio di qualsiasi esemplare finora rinvenuto. Gli animali non sembravano spaventati dalla presenza dell’uomo e si fecero tranquillamente avvicinare. Giunto nei pressi dell’acqua, Marco notò la presenza di altre creature: c’erano diafani pesci dalle strane escrescenze, crostacei dalle forme insolite ed alcuni gamberetti trasparenti di proporzioni straordinarie. Quello era il paradiso per qualsiasi speleologo in generale, ma in particolare per chi era appassionato di biologia …
Facendo questi pensieri, Marco si accorse, però, che una specie di fremito stava nuovamente salendo dal pavimento. Inizialmente solo una leggera vibrazione, poi dei veri e propri sussulti che facevano tremare tutto quanto. Forse un terremoto, oppure un assestamento geologico, …
Ancora uno scossone e Marco vide sopra di sé la faccia dell’amico che lo guadava divertito, mentre con una mano lo stava scuotendo energicamente. Va bene la grande familiarità raggiunta con quegli ambienti angusti, ma come era possibile addormentarsi alla base di quel pozzetto, con tutto quello che c’era ancora da fare? L’amico non era sicuro, ma mentre stava raggiungendo Marco, che stava sonnecchiando addossato alla fredda parete, gli era parso di scorgere un sorriso e di sentire le parole appena sussurrate “ … che bello, che bello …”. Ma è risaputo che tutti gli speleo sono esseri strani, per cui non c’era da preoccuparsi. L’importante, adesso, era svegliarsi, darsi una mossa e cominciare a scavare. Il lavoro non mancava di certo …

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posted by Paolo at 18:09 |


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