giovedì 4 ottobre 2007

Questa volta propongo un racconto abbastanza lungo, sempre di tema speleologico. Il finale è sicuramente triste (chissà perché scrivo sempre cose di questo genere …), ma c’è anche una leggera poesia nella vaga similitudine fra la corda speleo ed il sottile filo lungo il quale si snoda - nel bene e nel male - la nostra esperienza terrena. Alla protagonista del racconto, frutto della mia fantasia, ho dato il nome di Sara.


La lunga discesa

Sara era rimasta un po’ indietro rispetto ai compagni, ma non c’era da preoccuparsi. Aveva già percorso quella grotta e conosceva bene la sequenza dei pozzi e delle gallerie. Si ricordava che, superata l’ultima curva di quella specie di meandro, si arrivava ad un piccolo slargo che conduceva direttamente sul largo pozzo da quaranta metri. Fatti alcuni passi, infatti, Sara riconobbe la piccola sala e poté affacciarsi sull’ampio salone che si sprofondava davanti a lei.
Guardando bene nel buio dell’ambiente sottostante, le parve di scorgere le luci degli amici che la precedevano e questo la tranquillizzò ulteriormente.
Sara passò la corda nel discensore con mano decisa e, con elegante mossa, si appese al frazionamento. Puntandosi sulla parete, sganciò il moschettone, liberò la chiave che bloccava il discensore ed incominciò la discesa.
La calata si svolgeva inizialmente a contatto con la parete, per poi allontanarsi da essa di qualche metro. Nella prima parte della discesa, poté distinguere chiaramente la roccia bianca ricoperta da piccole stalattiti trasparenti, da chiare colate calcitiche e da cristalli luccicanti, e si convinse che quella era veramente una bella cavità, che accomunava morfologie particolari a punti dove le concrezioni formavano uno spettacolo di notevole bellezza.
Ad un tratto, però, un piede perse la presa e Sara si girò violentemente verso la parete: non si trattava sicuramente di un gran colpo, ma l’incidente dimostrava che bisogna stare sempre attenti quando si scende in grotta. L’unico risultato della scivolata fu che la lampada a carburo, sbattendo sulla parete, si spense. Non servirono a nulla i vari tentativi di ripristino e la calda luce della fiammella non si riaccese più. Sara azionò, allora, la luce elettrica di riserva. Saranno state le batterie parzialmente scariche, oppure la parabola della lampada non perfettamente pulita, ma il raggio della luce permise solamente una limitata visione che si spingeva a pochi metri di distanza.
Nonostante l’inconveniente, la ragazza riprese la discesa. Non riusciva a scorgere l’attacco della corda in alto, come non riusciva a vedere il fondo del pozzo: l’unica cosa che poteva percepire era la parete, appena illuminata ed ora lontana qualche metro.
Sara scese comunque spedita, cercando di raggiungere la base del salto per rimettere in funzionale la lampada a carburo. La corda scorreva regolare nelle pulegge del discensore, liberando un sottile soffio di polvere a ricordo del fango accumulato nelle tante ore di suo utilizzo nel sottosuolo. Sara guardò nuovamente verso il basso, aspettandosi di vedere comparire da un momento all’altro le rocce del fondo, ma non vide nulla.
Si trattava di un semplice salto profondo solamente quaranta metri, il tempo per discenderlo poteva essere al massimo di qualche minuto, Dove era, allora, il pavimento del salone?
Sara iniziò leggermente a preoccuparsi. C’era qualcosa che non andava, perché quel pozzo sembrava ben più profondo di quanto era in realtà? Cosa stava succedendo?
La ragazza osservò l’orologio. La discesa continuava regolarmente ed il discensore iniziò a scottare leggermente fra le mani. Guardando nuovamente, si accorse che erano passi altri due minuti. E questo non era possibile. Cosa stava succedendo in quell’atmosfera fredda appena illuminata dalla fioca luce della lampada?
Sara decise di porre maggiore attenzione allo scorrere del tempo. Mentre scendeva osservò attentamente le cifre dell’orologio digitale che, con numeri rossi e luminosi, si ricorrevano inesorabilmente. Passarono altri due minuti. Era tutta una follia. Un ultimo sguardo verso il basso senza scorgere nulla e la corda si fermò finalmente nel discensore.
Sospesa nel vuoto, senza riferimenti precisi, Sara cominciò ad avere paura. Cercò di chiamare i compagni, ma le sue grida si persero nel buio e nell’aria ferma di quell’ampio vano. Forse si trattava di uno scherzo, forse di qualche strano fenomeno naturale, ma ogni cosa sembrava in contrasto con le normali leggi della fisica. Un salto di quaranta metri si supera velocemente, volendo anche in pochi secondi, ma lei era scesa ininterrottamente per quasi dieci minuti senza raggiungere né il fondo del salone, né il termine della fune.
Appesa al discensore, Sara dondolava lentamente, mentre una strana sensazione la prendeva alla bocca dello stomaco: forse era meglio risalire. Bloccò il discensore con la chiave e prese la maniglia che aveva appesa in cintura. Fissati i bloccanti e sganciato il discensore, iniziò la salita. Calcolò che, pur procedendo con estrema calma, in una decina di minuti sarebbe giunta all’attacco della corda. Per precauzione lanciò uno sguardo all’orologio e quindi iniziò la sequenza dei movimenti. Ad ogni estensione guadagnava quasi quaranta centimetri di corda e la distanza rispetto al punto di partenza della fune diminuiva di conseguenza. Senza affrettarsi, Sara face dei passi lenti ma distesi, senza stancarsi troppo. Procedette così nella semioscurità (l’impianto a carburo continuava a non volersi accendere) finché le braccia non iniziarono ad intorpidirsi per lo sforzo. Allora si fermò e guardò in alto: la corda si perdeva nel buio senza evidenziare la presenza di alcun nodo o moschettone di attacco. Osservando, per quanto possibile, la parete, le parve di scorgere una stalattite dalla forma strana, che ricordava di aver visto molti metri più in basso. Non era possibile, era tutto così strano ed assurdo.
Guardò nuovamente l’orologio e vide che era passata quasi un’ora da quando aveva iniziato la risalita. Questa constatazione la fece sprofondare nella più cupa disperazione. Non poteva essere vero, cosa stava succedendo?
Fece ancora qualche movimento verso l’alto, poi si fermò. Sara era appesa in un punto intermedio di una corda lunga quaranta metri, tesa verticalmente. Lei era discesa, però, per un dislivello ben maggiore, per poi risalire per una distanza anch’essa superiore alla lunghezza complessiva della fune. Questo era naturalmente impossibile.
Le venne da piangere. Come poteva essersi messa in una situazione come quella? Cosa le stava accadendo?
Con una decisione improvvisa, Sara pensò che se doveva raggiungere un’estremità della fune, tanto valeva scendere, risparmiando le forze. Riprese quindi il discensore, lo posizionò sulla corda, staccò i bloccanti ed iniziò nuovamente il suo viaggio verso il fondo del pozzo.
Fu in questo momento che anche la luce elettrica iniziò a dare dei problemi. Forse le batterie stavano esaurendosi, oppure qualche contatto era troppo ossidato. La luce si ridusse ad un semplice lumicino, finché si affievolì del tutto. Questa volta, nel buio, la ragazza pianse davvero. Cercò in tutti i modi di recuperare un po’ di luce, agitò, accarezzò ed implorò la lampada a carburo di accendersi, ma la fiammella non ricomparve. Controllò le batterie dell’impianto elettrico e tutti i vari collegamenti, ma non ottenne nulla. Era bloccata su quel pozzo, sola e nella più completa oscurità.
Pensò che forse sarebbe stato meglio aspettare i compagni e cercò di mantenere la calma, ma guardando l’orologio si accorse che erano passate varie ore da quando aveva visto allontanarsi i suoi amici e lo sviluppo limitato della grotta non era tale da giustificare un simile ritardo. Era successo qualcosa di veramente eccezionale e lei (sperò in cuor suo che nulla fosse successo ai suoi amici) era come prigioniera in una dimensione bizzarra e strana, in cui il tempo e lo spazio avevano assunto un significato diverso.
Decise, comunque, di continuare la discesa. All’inizio procedette lentamente, pensando che al buio poteva sbattere su qualche spuntone di roccia, ma questo non accadde. Allora accelerò. La corda scorreva nel discensore sempre più velocemente. Oramai sentiva l’alluminio dell’attrezzo scottare fra le mani, a causa dell’attrito. Ma non rallentò per questo. Voleva porre fine a quella situazione, voleva raggiungere il fondo ad ogni costo.
Sara sorrise pensando che quello che stava scendendo era sicuramente il dislivello maggiore che lei aveva mai percorso. Pensò che forse si trattava di un vero record mondiale, che nessuno avrebbe mai eguagliato. Dal sorriso, però, passò subito alle lacrime. A questo punto, era sicura che non avrebbe più rivisto la sua famiglia, i suoi amici, il suo gatto …
La velocità aumentò ancora. Oramai, visto il tempo trascorso, era evidente che lei era discesa per molte centinaia di metri lungo una corda che ne misurava solamente quaranta ... a questo pensiero Sara imprecò ad alta voce e la sua voce risuonò alta nel silenzio della grotta.
Voleva raggiungere il fondo del pozzo, doveva raggiungere il fondo del pozzo. Le sembrò di volare, di planare in un gioco di correnti, di venti umidi e di tenebre in movimento …
Lasciò completamente libera la corda ed allontanò le mani dal discensore. Scese così quasi in caduta libera, con l’aria fredda che le soffiava in faccia. La velocità aumentò ancora, ma a lei non interessava più. Doveva uscire da quella situazione e non importava come.

Quando i compagni ritornarono indietro, era passata - in realtà - solamente mezz’ora dal momento in cui avevano lasciato Sara. Ben presto, con sgomento, la trovarono distesa fra i massi alla base del pozzo. L’inattesa disgrazia li travolse e la disperazione crollò loro addosso come un macigno. Tutti si domandarono cosa potesse essere successo. Sara era un’abile speleologa, esperta ed allenata. Cosa era accaduto in quei trenta minuti, lungo quel facile pozzo in libera, di soli quaranta metri di profondità? Nonostante le mille congetture, questa domanda non trovò mai la giusta risposta …

Etichette:

 
posted by Paolo at 21:17 |


1 Comments:


At 24/11/07 11:02 PM, Anonymous Anonimo

Geniale questo racconto!! Provo ancora una sottile angoscia nel pensare di trovarmi nel pozzo senza fine..!