sabato 24 maggio 2008
In questi giorni sto leggendo un’antologia di racconti sulla montagna: si tratta di una raccolta delle migliori pagine prodotte da affermati scrittori negli ultimi due secoli. Devo dire che, anche se la montagna passa talvolta in secondo piano rispetto alle vicende narrate, certi brani sono veramente eccezionali. Un grande scrittore può affrontare qualsiasi argomento, ma la sua produzione sarà sempre piacevole ed interessante.
Questa introduzione serve per presentare l’argomento di cui volevo parlare. Si tratta di un breve racconto intitolato “Un idillio alpino” scritto da Ernest Hemingway: probabilmente non è il miglior del libro, ma l’insieme è abbastanza ben congegnato. E’ il fatto descritto che mi ha colpito, perché strano ed emblematico.
Si parla della dura gente di montagna agli inizi del 1900 e la vicenda in questione è la seguente. In una famiglia che vive isolata muore la moglie. Il marito vorrebbe seppellirla nel cimitero del paese, ma la troppa neve (si era in inverno) non permette di scendere a valle. Allora il montanaro decide di mettere il corpo della moglie nella legnaia, all’esterno, per conservarla in attesa del disgelo. Nei lunghi mesi di solitudine, l’uomo deve accedere spesso a questa legnaia, per spaccare i tronchi e procurarsi il materiale da ardere nel camino, e talvolta parla con la moglie. Essendo questa oramai dura e congelata, il vecchio mette la donna in piedi, appoggiata ad una parete. Ma non basta, nel rapporto di famigliarità che esisteva da tempo nella coppia, quando il montanaro accede di notte alla legnaia, aggancia il lume che si porta dietro direttamente nella bocca della defunta, ritta vicino a lui lungo il muro. Di questa strana consuetudine l’uomo parla agli abitanti del paese una volta giunta la primavera e quindi seppellita la moglie nel cimitero, e tutti protestano dicendo che non è possibile, che è una grande offesa, un vero e proprio sacrilegio… Il vecchio non capisce e ritorna fra le sue montagne chiedendosi cosa c’era di male in quello che aveva fatto.
Il racconto è breve, ma mi ha particolarmente colpito. Non solo per una certa crudezza della vicenda, ma ancora di più per la semplicità dell’uomo. Non era colpa sua se la moglie era morta e c’era stato un grande affetto e rispetto fra i due. Ma la vita continua, come si susseguono inevitabili le stagioni fra le montagne. Non c’è quindi nulla di negativo nel voler sentire ancora vicina la compagna, nel metterla in piedi vicino a lui mentre lavorava, nel far si che essa in qualche modo desse ancora il proprio contributo alla famiglia, magari solo sorreggendo il lume.
La storia è sicuramente macabra, ma fotografa perfettamente un certo tipo di mentalità, chiusa ed estremamente concreta, delle popolazioni di montagna. Questo, ovviamente, avveniva molto tempo fa. Oggi è tutto cambiato e probabilmente gli ingenui siamo noi cittadini, non certo gli abitanti delle valli, oramai quasi tutti manager impegnati nella gestione di alberghi, ristoranti ed impianti sciistici.

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posted by Paolo at 15:47 | 0 comments
sabato 17 maggio 2008
Rileggendo i miei appunti, ho scoperto che a vent’anni avevo la mania di scrivere su ogni cosa che mi accadeva. Pensavo, elaboravo e scrivevo. Ho prodotto pagine parlando della mia attività speleologica, degli amici, delle escursioni, dei turbamenti e delle mille domande che insistentemente ed inevitabilmente mi ponevo.
Di seguito, riporto alcune righe che ho scritto nel 1975 dopo una mia gita in montagna. Curioso come anche questa circostanza sia diventata una scusa per comporre qualche verso…

Ma il sole ci guarda.
E’ per lui che non dobbiamo mollare … neanche questa volta.
Lui non fa le cose per noia, per sbaglio, per caso, ma le fa perché è giusto.
Perché è giusto essere qui in questo momento, perché lo zaino pesa, ma non potrebbe essere altrimenti.
Perché le montagne sopra di noi sono troppo belle, per non viverle con serenità.
In una logica nuova, anche quest’arrancare stanco fra le pietre sta diventando concreta sensazione di gioia e libertà.

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posted by Paolo at 16:29 | 0 comments
lunedì 12 maggio 2008
Avevo voglia di scrivere qualcosa ed ho pensato ad un mio tema ricorrente: ambientare in grotta qualche incontro inusuale. Ho già parlato di situazioni serene e di eventi paurosi, di incontri con esseri buoni o con mostri cattivissimi. Il raccontino che segue affronta un abbinamento inedito per me: grotta e alieni. Ovviamente si tratta solo di un gioco di fantasia ed il protagonista, questa volta, l’ho chiamato Piero.

Il cunicolo inizialmente era stretto, ma poi diventava più comodo. Piero era veramente contento di aver scovato quel piccolo buco fra i karren e che questo, con una sola ora di scavo, sia diventato finalmente praticabile. Non aveva aspettato il suo amico che doveva arrivare a momenti, perché non era possibile resistere al richiamo dell’aria fresca che usciva dall’anfratto buio e, dopo essersi preparato, era entrato da solo. Non si era pentito di questa decisione perché, dopo qualche passaggio dove bisognava prestare una certa attenzione, si poteva avanzare finalmente senza alcuna difficoltà. La galleria si sviluppava in leggera discesa, con solo qualche lieve cambio di direzione e poche concrezioni alle pareti. Dopo una curva, però, Piero rimase quasi stordito dalla sorpresa: il cunicolo di interrompeva in corrispondenza di un passaggio di forma circolare, che sembrava costruito in una specie di metallo rilucente. La sua forma era perfetta e la struttura sembrava formata da più parti collegate assieme da perni e viti. Non c’era dubbio che si trattasse di qualcosa che era stata creata dalle mani dell’uomo … o almeno questo fu il pensiero che passò nella mente dello speleologo, ma si sbagliava!
Piero sfiorò quel manufatto tanto strano quanto inspiegabile, rendendosi conto che il metallo sembrava vibrare a qualche bassa frequenza. Si poteva quasi sentire nell’aria un leggero ronzio. Cosa poteva servire quel “coso” e chi l’aveva piazzato alla fine della galleria? Sembrava quasi una specie di portale, un varco che conduceva ad ulteriori vani, per cui Piero fece l’unica cosa che pur apparendo logica al momento, si sarebbe rivelata in futuro alquanto avventata. Appena superata quella specie di foro circolare e fatti due passi in un ambiente di grandi dimensioni, successe qualcosa di improvviso ed inaspettato. Con una serie di scatti metallici, come di interruttori che si attivassero in sequenza, una moltitudine di forti luci si accese tutt’intorno. Potenti fari squarciarono l’oscurità ed illuminarono a giorno l’ampia caverna. Piero si trovò davanti ad uno spettacolo sorprendente: tutto il pavimento dell’ampio vano era perfettamente liscio e realizzato anch’esso in un metallo sconosciuto. Tutto attorno si potevano osservare strutture complesse, dalle funzioni sconosciute. C’erano piccole torri, globi dalla superficie rilucente, cilindri e parallelepipedi disposti in modo strano. Dopo qualche secondo, tutte queste strutture sembrarono prendere vita. Si accesero spie, si illuminarono quadranti graduati prima invisibili, parti intere di quei macchinari si accesero di una propria iridescenza.
Piero rimase senza parole, immobile ed indeciso sul da farsi. Fu in quel momento che, al centro della stanza e spuntando da quelle strane macchine, comparve un’enorme struttura circolare, dotata di luci danzanti. Questo strano oggetto si alzò dalla sua posizione di riposo e si sollevò dal pavimento di qualche metro, sovrastando tutta la caverna.
A Piero sembrò di scorgere un movimento sulla destra, per cui si nascose fra alcuni strani cilindri lucidi, e rimase in attesa. Dopo qualche attimo due figure si fecero largo fra le strane macchine pulsanti, avvicinandosi all’oggetto che stava sospeso in aria al centro della stanza. Lo speleologo stentava a credere a tutto quello che vedeva, ma – nonostante la confusione e la paura – si rese improvvisamente conto di cosa aveva davanti. Sarà stato perché i due strani essere erano vestiti con una speciale tuta dai riflessi metallici, forse perché l’andamento delle due figure, seppur sommariamente antropomorfe, era comunque innaturale e particolarmente dinoccolato, o semplicemente perché la forma circolare e piatta dell’oggetto sospeso quasi sopra la sua testa era troppo simile all’immagine collettiva che viene alla mente quando si parla di oggetti volanti non identificati … Astronavi spaziali, esseri alieni, era sicuramente troppo per Piero, che non aveva mai creduto a queste cose. Osservando di nascosto, il ragazzo si rese conto che i due esseri, dalla testa troppo tozza e con due grandi occhi scuri, stavano guardandosi in giro alla ricerca di qualcuno ed immediatamente capì cosa era successo: attraversando il portale circolare era stato attivato qualche sistema di allerta, un segnale che aveva messo in funzione il complesso tecnologico presente in quella caverna e quindi i due “cosi” stavano cercando il colpevole dell’intrusione. Piero era svelto nel prendere decisioni e probabilmente la velocità con la quale agì fu fondamentale: cercando nelle tasche scoprì di avere con se alcuni “manzi”, nome dato in gergo a delle piccole cariche esplosive che talvolta vengono usate nelle disostruzioni delle grotte. Non è certo un cosa legale, di solito non si fa, ma talvolta un aiuto “esplosivo” è quello che ci vuole per risolvere alcune gravi problematiche di scavo. Non aveva tutta l’attrezzatura per l’innesco elettrico, ma aiutandosi con un fiammifero, sistemò una di queste piccole cariche alla base di un piedistallo sormontato da una sfera luminosa e si allontanò il più rapidamente possibile. L’idea era di fare un po’ di rumore per distrarre i due esseri, ma l’effetto fu sicuramente superiore ad ogni aspettativa. Fatti non più di 10 metri, Piero fu quasi sollevato dall’onda d’urto di una forte esplosione: con ogni probabilità l’apparecchiatura danneggiata aveva aumentato la potenza dello scoppio. In un attimo tutto parve riempirsi di fumo, mentre le luci cominciarono ad oscillare ed a spegnersi una ad una. Ci vollero pochi secondi per arrivare al passaggio circolare e buttarsi dall’altra parte. Non appena oltre, una seconda forte esplosione squassò l’aria, facendo cadere massi da ogni parte. Piero si trovò disteso a terra e, guardando dall’altra parte del portale, potè vedere solamente massi, terra e polvere. Ci volle poco per uscire all’esterno e non appena fuori, Piero incontrò l’amico che lo accolse con acceso entusiasmo. “Tu non lo puoi sapere, ma è successa una cosa eccezionale. C’è stato il collasso di una cavità, il crollo di una grotta sconosciuta ed ora, all’esterno, si è formata una profonda dolina, una specie di voragine. Si tratta di un fenomeno carsico che viene citato in tanti libri, ma è successo davvero. Un fenomeno geologico che ha avuto il suo epilogo proprio davanti ai nostri occhi…”.
Piero non aveva voglia di contraddire l’amico, pur sapendo che l’evento non era certo da collegarsi a leggi naturali. La verità era ben un’altra… Ma Piero era impaurito e stanco… guardò l’amico e sussurrò “Un fenomeno geologico proprio oggi, come siamo fortunati…”. Detto questo, raccolse il casco e si avviò lentamente verso l’automobile che aspettava vicina, ma nella direzione opposta. Camminando pensò “Almeno la frana è avvenuta dall’altra parte. E’ ben difficile da accettare, infatti, che un evento di questa portata, o meglio una circostanza imprevista dovuta alla presenza di curiosi esseri e strane astronavi nel sottosuolo, coinvolga nel crollo anche la propria automobile regolarmente posteggiata in superficie. E sì, proprio una giornata fortunata…

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posted by Paolo at 09:13 | 1 comments
martedì 6 maggio 2008
Domenica, ho avuto il grande piacere di accedere, per la prima volta, al magico mondo di Marco e Piero.
La speleologia è una disciplina multiforme, con tante sfaccettature, competenze e specializzazioni. Si può spaziare liberamente in ognuno di questi campi a seconda del momento e dell’interesse, oppure ci si può appassionare ad uno specifico settore.
C’è chi adora passare ore a rovistare fra le pietre alla ricerca di insetti cavernicoli, chi non si ritiene appagato se non porta a casa almeno 50 m di nuovo rilievo, chi non trova soddisfazione nell’affrontare un pozzo se questo non possiede almeno 100 m di profondità. Sono tutte passioni e personali interpretazioni che, messe assieme, concorrono a formare la “Speleologia”.
Fra le possibili tipologie di uomini di grotta esiste anche quella degli “scavatori”, ovvero degli esploratori che non provano piacere se non si costruiscono, cavando pietra dopo pietra, la loro grotta personale. A Trieste tale tipologia di ricerca è molto utilizzata ed ogni gruppo raccoglie un certo numero di suoi cultori.
Anche l’Adriatica si è impegnata - negli anni - in varie disostruzioni di una certa entità, ma se oggi devo identificare i maggiori esponenti di questa disciplina non posso che pensare a Marco e Piero. Sono anni che inseguono il sottile respiro del fiume Timavo, approfondendo nella roccia uno scavo che progredisce sulla base dei capricciosi flussi dell’aria sotterranea.
Ci sono stati momenti di grande entusiasmo, altri nei quali è stato necessario ricominciare tutto da capo.
Pur frequentando spesso questi due amici, non ho mai avuto l’occasione di accedere al loro “cantiere” e quindi mi ero fatta una particolare opinione. Nel mio immaginario, lavori di questo genere si accomunano a momenti di speleologia eroica, alle gesta di leggendari personaggi che si sacrificano per rintracciare il Timavo di profondità. Sicuramente fatica e tenacia, ma anche lotta risoluta con la dura pietra, che può regalare scorci di estetica bellezza nel frantumarsi delle rocce o nell’allargamento energico delle fessure soffianti.
Ho avuto invece la sorpresa (non necessariamente negativa) di ritrovarmi in un ambiente ben più duro ed aspro di quello che pensavo: il passaggio si infila stretto e sinuoso all’interno di una gigantesca frana, seguendone i passaggi inclinati, assecondando i rapidi cambiamenti di direzione dovuti alla presenza di qualche masso più grande, sprofondando con improvvise discese verticali lungo pareti meglio definite. Ho scoperto che uno scavo come questo non è attività per tutti. Ci vuole costanza, dedizione, sacrificio. Il Carso non si concede a buon prezzo e devi tentarlo giorno dopo giorno, devi conquistarlo metro dopo metro e non è detto che dopo mesi di lavoro il gioco non debba iniziare nuovamente lungo un’altra via.
Se devo descrivere la mia sensazione all’uscita, questa può riassumersi in un’unica parola: rispetto. Rispetto per la roccia calcarea che svela i suoi segreti solo ai migliori, rispetto per chi - affascinato da un’idea - costruisce con pazienza e perseveranza un percorso difficile e duro, ma che alla fine potrebbe portarlo al grande risultato finale: il fiume sotterraneo.
Domenica sono disceso nel magico mondo di Marco ed Piero ed ho capito, ancora una volta, perché la speleologia può essere un’attività tanto intensa ed appagante.

Ho scelto volutamente una foto che non ritrae persone: si vedono solo sassi, ferro e fango, con la luce in lontananza. E’ un’immagine quasi simbolica, uno scorcio di cavità che ben rappresenta la fatica che si sta consumando nello scavo (Foto Guglia).

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posted by Paolo at 06:54 | 0 comments
giovedì 1 maggio 2008
Strane presenze, scontri con animali misteriosi, vicende imperscrutabili, tutto può accadere nel corso dell’attività speleologica. E volete che, fra i tanti insoliti avvenimenti, non vi sia anche un incontro con un UFO?
Ebbene sì, mi è successo anche questo. Ci trovavamo sul sentiero/trincea che attraversa il lato Sud/est del monte Freikofel, molti anni fa. Ovviamente stavamo rilevando cavità di guerra e, circa a mezzogiorno, ci siamo fermati affacciandosi sull’ampio panorama che ci stava davanti. Eravamo io, L.L. e P.Z. (riporto solo le iniziali per una faccenda di privacy e perché forse loro non si ricorderanno nemmeno di questa esperienza). Chiacchierando, abbiamo osservato una sagoma che si muoveva ad una quota leggermente inferiore alla nostra posizione. Si trattava di una "cosa" che, volando al di sopra degli alberi, seguiva una rotta abbastanza complessa. Il colore era bianco e la traiettoria sfiorava spesso il pendio, deviando dagli ostacoli, mentre altre volte “il coso” si muoveva parallelamente alle curve di livello. La distanza era di circa di 300 m mentre la quota dell'oggetto era di circa 150 m più bassa del punto di osservazione. La prima impressione è stata quella di un grosso uccello bianco, che planava seguendo le correnti d'aria. Da una più attenta osservazione, però, il volo risultava troppo complesso, con impennate improvvise ed evoluzioni attorno agli ostacoli, però sempre con le "ali" ferme. La distanza nel frattempo diminuiva. La seconda impressione è stata quindi quella di un aliante/aquilone. Qualcuno ha affermato che sembrava un foglio di giornale in balia del vento. Però le evoluzioni continuavano, rendendo impossibile sia l'ipotesi dell'aquilone (non c'era la possibilità di un controllo via filo), sia quella del foglio di giornale (traiettorie troppo complicate). Anche l'ipotesi di un velivolo teleguidato non reggeva, in quanto la rotta dell'oggetto seguiva talvolta le asperità del terreno, infilandosi in canaloni nei quali la visibilità, e quindi la manovrabilità via telecomando, risultava molto difficile se non impossibile. L'oggetto nel frattempo si è avvicinato sempre più, arrivando in una posizione quasi sottostante al punto di osservazione. Si poteva vedere chiaramente che la "cosa" aveva una forma decisamente regolare e quasi quadrangolare. Il colore era di un bianco perlaceo intenso, che si potrebbe definire quasi porcellanato (tipo "frigorifero"). Osservando meglio, si poteva notare che la superficie non era piatta ma che vi erano delle specie di rilievi longitudinali, in modo che le "ali" non risultavano piane. Le dimensioni potevano essere, indicativamente, di 2,5 m x 2,5 m. L’oggetto ha quindi continuato le sue evoluzioni, dirigendosi infine in direzione quasi opposta a quella di provenienza. Ha puntato verso il bosco di fronte a noi, sorvolando le cime degli alberi. Improvvisamente è scomparso e non ci siamo resi conto dove esso sia effettivamente andato. L'osservazione, nel suo complesso, è durata circa 15 minuti.
Non ho più parlato di questo fatto con gli amici coinvolti, ma quelli che ho riportato sono i miei ricordi così come li ho fissati, qualche giorno dopo, sulle pagine del mio quaderno di appunti.
Personalmente, non ho alcuna spiegazione sull’avvistamento, anche se penso che, qualche esperto, potrebbe forse spiegare il tutto. Rimane, anche in questo caso, la testimonianza su di un avvenimento strano e difficilmente catalogabile.
Su tutta la vicenda rimane solamente un dubbio: perché l’unico avvistamento della mia vita di un presunto UFO non ha riguardato un classico oggetto a forma di “disco volante”, ma ha visto la presenza di un “affare volante” dall’inedita forma quadrata?
In ogni caso vi assicuro che non avevamo bevuto…

Siccome sono un curioso per natura, ho fatto qualche piccola ricerca in Internet ed ho scoperto che gli avvistamenti di UFO di forma quadrata non sono proprio un’eccezione. Simili aspetti sono stati riscontrati in “contatti” avuti in Canada (1997), in Italia (2001), a Mosca (2007), ecc. Voglio inoltre precisare che, in ogni caso, io non sono un credulone e, per personale esperienza, molte cose che inizialmente mi sono apparse in un certo modo, dopo una successiva verifica si sono rivelate ben diverse dalla prima impressione. Questo succede in ogni campo della conoscenza e dell’esperienza, ed in ogni momento della nostra vita. Allo stesso tempo, devo dire che non mi sento solo nell’universo e penso che ben difficilmente l’uomo possa arrogarsi il diritto di considerarsi l’unica forma di vita intelligente dello spazio infinito. Affermare questo, comunque, non comporta automaticamente di credere che strani omini siano già scesi sulla terra per studiarci ed osservarci…

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posted by Paolo at 21:00 | 0 comments