venerdì 12 gennaio 2007
Cercando nuovi argomenti da trattare nel Blog, ho deciso di scavare nei miei ricordi alla ricerca di qualche fatto particolare ed ho concentrato l’attenzione su un tema un po’ insolito: gli incidenti in grotta. Probabilmente questo argomento può risultare a qualcuno macabro ed inopportuno, ma devo dire che le poche situazioni di questo tipo che mi hanno direttamente o indirettamente coinvolto non sono mai state di particolare gravità: qualche botta, un gran spavento, ma nulla di più.
Inizierò quindi parlando di una bella domenica di marzo dell’anno 1973. Si trattava della quarta uscita del primo corso di speleologia organizzato dalla SAS. Io allora ero un giovane allievo, pieno di entusiasmo ed energie. Dopo aver visitato la grotta Alce-Tilde, la Noè e la Fessura del Vento, abbiamo affrontato l’abisso Colognatti, una cavità complessa con pozzi non particolarmente profondi, ma con passaggi anche stretti e disagevoli. Allora si usavano ancora le scale e la discesa avveniva con precise manovre ed operazioni di sicura effettuate dall’alto. Dopo essere scesi verticalmente per qualche pozzo, ci siamo trovati in tre su un piccolo terrazzino. La verticale continuava ulteriormente per una decina di metri, mentre l’attacco delle scale si trovava ad una quindicina di metri sopra le nostre teste.
Quello che mi ricordo fu l’improvviso rumore, una specie di folata di vento che ha spento le fiammelle delle carburo, un forte dolore al ginocchio e poi il buio.
In particolare, l’ultima cosa che ho visto è stata una pietra dalla forma allungata, con l’asse maggiore di circa 80 cm, che si conficcava nella roccia appena a lato della mia gamba sinistra distesa, per poi piegarsi lentamente sopra il mio ginocchio. Sarebbero bastati pochi centimetri e, visto il peso della pietra, oggi avrei dovuto arrangiarmi con le stampelle. Fortunatamente il colpo si è scaricato direttamente al suolo e solo dopo il masso si è piegato per adagiarsi sopra il mio arto. Anche un altro dei miei compagni di sventura ha subito qualche danno, con una forte botta sempre al ginocchio.
Particolarmente impressionanti sono state la sensazione di forte calore che ho sentito nel punto dell’impatto, la completa oscurità e la polvere che impediva quasi di respirare. In seguito, fatto il punto della situazione, abbiamo realizzato che una notevole frana si era staccata qualche metro sopra di noi e, fortunatamente, aveva colpito solo quelli fermi sul terrazzino. Gli altri amici più in basso, infatti, avevano appena abbandonato il fondo di quel pozzo, proseguendo nella discesa.
I fatti che sono seguiti li ricordo appena: mi vengono in mente grandi lavori per spostare completamente il percorso delle scale, Sergio Dambrosi impegnato in una difficile arrampicata per fissare le corde e le operazioni di disgaggio delle pietre ancora pericolanti ed incombenti. Alla fine siamo usciti tutti, anche se con qualche ora di ritardo. All’esterno c’era un nutrito gruppo di speleologi intervenuti appositamente sul posto e mi sembrò quasi eccezionale il fatto di essere sollevato di peso nell’ultimo pozzo, senza dover fare alcuna fatica.
Oggi di quei lontani avvenimenti porto con me solamente una piccola cicatrice sul ginocchio sinistro e un’enorme riconoscenza ai miei genitori per non aver stroncato la carriera speleologica di quel ragazzino tanto entusiasta (allora non avevo ancora compiuto 15 anni… ).
La foto, di quel periodo, mi ritrae durante un lavoro di disostruzione.
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