venerdì 2 febbraio 2007
Come nel caso dei rumori, anche parlando degli odori delle grotte, possiamo differenziarne due distinte categorie: quelli specifici dell’ambiente nel quale ci si trova e quelli portati dall’uomo.
Chiunque abbia frequentato il mondo sotterraneo avrà ricordo del buon odore di terra bagnata che si può sentire all’ingresso delle tante grotte presenti sul Carso.

Fino a qui le sensazioni olfattive che si possono provare nell’ambiente naturale della grotta. A questo punto, però, entra in scena lo speleologo. Non si tratta di una caratteristica necessariamente negativa, ma lo speleologo ha inevitabilmente un odore tutto suo. Sarà per la tuta che troppe volte ha strisciato nel fango, sarà per le fettucce, i moschettoni e gli attrezzi spesso incrostati di argilla e di schifezze varie, sarà per l’utilizzo della lampada a carburo, sarà - in generale - per la pigrizia nel ritardare il più possibile il lavaggio dei materiali personali, però lo speleologo emana, sempre e comunque, un suo particolare aroma. Qualcuno considera tale odore una vera e propria puzza (questa è solitamente l’opinione di mamme e fidanzate), altri pensano si tratti invece di un vero aroma, l’elemento distintivo dello speleologo esploratore di abissi. Probabilmente la verità sta nel mezzo: è normale che, con l’utilizzo, i materiali acquisiscano una fragranza naturale, caratteristica ed identificativa dell’attività svolta in grotta. Allo stesso tempo, la tuta bagnata lasciata inavvertitamente chiusa nello zaino per due settimane, emana un lezzo tanto caratteristico, quanto insopportabile. Quest’ultima circostanza avviene molto più spesso di quanto si possa immaginare, ma in fondo non si tratta che di una delle tante manifestazioni originali e caratteristiche del variegato e multiforme mondo della speleologia.
La foto ritrae uno dei tanti ingressi di grotta, umido e muscono, presenti sul nostro Carso. (Foto Guglia)
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