sabato 18 agosto 2007

Non sono mai stato un frequentatore assiduo di grandi verticali. Certo, nella mia carriera speleologica, ho disceso vari pozzi di una certa profondità, come il - 100 dell’Abisso Carlo Debeljak, il - 102 dell’Abisso Silvano Zulla, il - 118 dell’Abisso della Volpe, oppure il - 120 dell’Abisso del Diavolo o il - 155 della Fovea Maledetta.

Non ho partecipato, purtroppo, all’uscita in Sardegna per la discesa della SAS alla voragine del Golgo (Su Isterru, pozzo unico di 270 m), ma devo dire che in quel periodo, affrontare una grande verticale non comportava particolari difficoltà psicologiche.
Nonostante questo, quando mi è stata proposta la visita a quella che allora (1981) rappresentava la verticale esterna più profonda del mondo (Provatina, Grecia, 408 m di pozzo unico), ho avuto i miei piccoli dubbi. Non ero particolarmente allenato, il viaggio era lungo ed i miei compagni erano tutti forti speleologi. Cosa fare? L’unica cosa era gettare il cuore oltre l’ostacolo e buttarsi anche in questa avventura.
La spedizione era composta da: Daniela Michelini (Penel) e Ferrucio Giannini per la Commissione Grotte E. Boegan della SAG, Paolo Pezzolato (Fox), Marino Petronio ed il sottoscritto per l’Adriatica. Dopo una breve preparazione dei materiali, partenza verso la Grecia, con attraversamento in macchina dell’allora Yugoslavia. Il viaggio è stato lungo e complicato, ma alla fine siamo arrivati nel Pindo. Tralascio di descrivere i giri nelle varie cittadine, il campeggio abusivo dal quale siamo stati allontanati dalla Polizia e la sosta nel campeggio organizzato nel quale, unici clienti, siamo stati svegliati e riscaldati dall’ospitale gestore a forza di bicchieri di Ouzo e Metaxa. Finalmente siamo giunti a Papingo, punto di partenza per la salita verso l’altipiano di Astraka. Dopo un po’ di buon cibo ed una salutare dormita, abbiamo noleggiato un asinello per il trasporto dei sacchi e siamo partiti. La prima perplessità è nata quando il gestore della locanda - salutandoci - ci ha chiesto: “Avete portato la dinamite …?”. Pensando ad un errore di traduzione (ci capivamo a motti ed utilizzando un po’ di italiano, qualcosa di inglese ed un pizzico di greco), abbiamo relegato la cosa a semplice curiosità, ma in seguito avremmo ben capito a cosa si riferiva. Varie ore dopo, lasciato l’asino e caricati i sacchi in spalla, è iniziata la penosa ricerca della cavità: si doveva trattare di un ampio pozzo a cielo aperto facilmente identificabile, eppure abbiamo vagato per ore senza alcun risultato. Abbiamo raggiunto anche la punta più alta dell’intero altopiano, il Gamila Peak (2.497 m), ma senza rintracciare la grotta. Non rimaneva quindi che piantare le tende e rimandare al giorno seguente le ricerche.
Con il nuovo sorgere del sole, abbiamo ripreso a vagare per l’altopiano, scendendo inutilmente qualche sprofondamento, ma solamente nel pomeriggio abbiamo trovato la Provatina e risolto il mistero: la cavità non si apre sulla sommità del pianoro, ma sulla parete di una ripida gola che scende verso valle. A questo punto abbiamo avuto la seconda sorpresa: l’ingresso era quasi completamente occluso da un ingente accumulo di neve ghiacciata, affacciato a sbalzo sulla verticale. Siccome lo spazio per passare era più che sufficiente, la squadra di armo si è preparata ed ha iniziato ad attrezzare la discesa. Passata qualche ora, finalmente Fox e Penel sono usciti, imprecando in maniera vistosa. Era accaduto qualcosa che nessuno aveva previsto: la massa di neve esterna, a causa del caldo, si stava sciogliendo progressivamente, liberando lungo il pozzo - quasi sulla traiettoria della corda - dei blocchi di ghiaccio, anche di grandi delle dimensioni. Insomma, tutta la prima parte dell’ampio pozzo era interessata dalla caduta di questi blocchi di neve che, dopo un volo libero di duecento metri, si schiantavano su un ampio terrazzo inclinato. Dopo aver armato la prima parte della verticale, i compagni si erano arrestati in corrispondenza di un punto più stretto, dove si convogliava tutti il ghiaccio che precipitava nel pozzo. Cosa fare? Certo sarebbe stato ideale far crollare definitivamente tutto il nevaio e così ci è venuto in mente l’accenno alla dinamite: le spedizioni che ci avevano preceduto, operando nello stesso periodo dell’anno, avevano usato l’esplosivo per liberare da ogni pericolo la discesa nella grotta. Ma noi non eravamo attrezzati in tal senso e dovevamo quindi trovare qualche altra soluzione. L’unica idea che ci è venuta in mente è stata quella legata alla temperatura: di notte faceva decisamente più freddo e quindi c’erano minori probabilità di distacchi di neve. Era un’ipotesi, ma si poteva tentare.

(Continua)

Nelle immagini si possono vedere l’asinello che ci ha aiutato a trasportare i sacchi nella prima parte dell’avvicinamento ed il campo installato sull’altipiano di Astraka (Foto Guglia)

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posted by Paolo at 09:31 |


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