domenica 8 luglio 2007

Una sera, parlando con mia figlia dei tempi andati, è emerso dai ricordi un avvenimento curioso che avevo completamente dimenticato: la gloriosa vicenda di “Nautilus”.

Era il 1973 e mi ero appena iscritto al primo corso di Speleologia della SAS. Dopo qualche grottina di prova, era prevista la visita della Fessura del Vento, in Val Rosandra. Si tratta di una cavità relativamente facile, con pochi dislivelli e lunghi tratti orizzontali. I rami più profondi presentano anche dei corsi d’acqua ed è proprio all’interno di questi ambienti che si è consumata la vicenda che vi voglio raccontare.
Scesi con l’istruttore (l’amico Lucio Juretig) lungo la Galleria Elissoidale, abbiamo affrontato un passaggio laterale che, nel primo tratto, presentava un bel laghetto di color azzurro. Si trattava di camminare nell’acqua, rasentando la parete, per immettersi nella galleria che proseguiva. L’istruttore, a questo punto, ci ha detto chiaramente di tenerci il più possibile sulla sinistra, seguendo la parete, perché in quel punto l’acqua non superava i 20 centimetri, mentre verso il centro la profondità aumentava. Abbiamo così iniziato ad inoltrarci lungo questo passaggio, camminando in fila indiana. Davanti c’era Lucio con la lampada a carburo e dietro noi - novelli speleo - dotati di una ridotta illuminazione elettrica. L’acqua, dopo il passaggio del primo, si è subito intorbidita, perciò non era possibile vedere chiaramente dove si stava camminando. Fatto qualche metro, si è udito un profondo tonfo e poi il silenzio. Quando ci siamo voltati, abbiamo scoperto che l’ultimo della fila era scomparso. Nessun rumore, nessun cenno della sua presenza. Ad un’occhiata più attenta, l’unico indizio del nostro compagno era rappresentato da un caschetto da cantiere color giallo (allora si usavano normalmente per andare in grotta) che galleggiava sulla superficie dello specchio d’acqua. Ci siamo scambiati un’occhiata interrogativa, dove era finito il giovane allievo che, assieme a noi, voleva diventare un esperto esploratore di grotte?
Devo dire che, per fortuna, l’istruttore ha preso subito l’iniziativa e, ritornando indietro di qualche passo, ha cominciato a cercare nell’acqua torbida, finché non ha “pescato” il nostro amico. Questi, era scivolato nell’acqua e curiosamente, pur essendo completamente sommerso, non si è agitato più che tanto, rimanendo quasi immobile in fiduciosa attesa che qualcuno lo soccorresse. Ricordo infatti che, inizialmente, non si vedeva neanche una bolla d’aria e questa strana situazione ha di fatto rallentato la pronta azione di recupero. Alla fine, comunque, la vicenda si è conclusa per il meglio: il compagno bagnato ma al sicuro e noi altri allievi, non appena compreso che il tutto si era risolto positivamente, squassati dalle risa e prodighi di sberleffi.
Ritornati all’esterno, come allora sempre succedeva, l’amico (di cui in realtà non ricordo più il nome) è stato battezzato con un nomignolo a ricordo dell’accaduto e da quel momento in poi tutti l’hanno conosciuto come “Nautilus, l’intrepido esploratore sommergibile”.
Finito il corso, Nautilus non ha più frequentato la sede, ma il ricordo delle sue gesta è stato tramandato per molti anni nelle storie che si raccontavano ai nuovi soci che si avvicinavano alla SAS.

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posted by Paolo at 10:05 |


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