sabato 2 giugno 2007
Penso che l’evoluzione normale di ogni speleo sia quella di partire da una frequentazione assidua delle grotte per arrivare, ad un certo punto, al contatto con le montagne. In pratica, difficilmente un appassionato del sottosuolo resisterà al fascino delle rocce di superficie e, prima o poi, sboccerà anche l’amore per le cime e le pareti. Questa circostanza è sicuramente aiutata dal fatto che gli ambienti speleologici e quelli dei rocciatori hanno spesso delle grandi somiglianze e, fatto non trascurabile specialmente a Trieste, che le due attività sono spesso confinanti ed interscambiabili. Non possiamo dimenticare, poi, che molte grotte si aprono proprio in montagna ed il passaggio diventa in qualche modo inevitabile. Molti speleo, quindi, abbinano all’attività esplorativa sotterranea anche quella dell’arrampicata.
Anch’io, da giovane, non ho potuto sottrarmi a questo meccanismo, facendo convivere - ad un certo punto - le grotte buie con le pareti assolate. Ricordo quasi con tenerezza i primi tentativi fatti per risalire qualche paretina, con ai piedi pesanti scarponi, tanti chiodi nello zaino ma poche conoscenze tecniche. Si facevano delle prove di salita all’imbocco delle grotte, su bassi muri di roccia spesso friabile e muschiata. Ma eravamo entusiasti e, alla fine, tutto concorreva a fare esperienza.
Siamo passati, poi, alla Val Rosandra, che avevamo frequentato in precedenza solo per fare visita alla nota Fessura del Vento. Le prime salite sono state fatte a caso, senza conoscere né il nome né le difficoltà delle vie che andavamo ad affrontare. In questo periodo, però, siamo cresciuti e devo dire che poi, in grotta, si potevano vedere le differenze quando si dovevano affrontare le risalite più impegnative.
Con il tempo abbiamo affinato anche la tecnica e, con l’esperienza e l’allenamento, sono aumentate le difficoltà che eravamo in grado di superare. Nulla di estremo, comunque, ma itinerari di una certa soddisfazione. Ricordo salite sui Falchi e sulle pareti della Bianca, la Grande, il Crinale, tutte in Val Rosandra, ma anche vie nella baia di Sistiana, sulle falesie di Duino ed in Napoleonica. Qualche uscita è stata fatta anche in località un po’ più distanti, come ad esempio sul paretone di Ospo, a Paklenica, nel Velebit, ad Arco e sulla Pietra di Bismantova.
In queste avventure, inizialmente, si sperimentava con Paolo Tamaro (Tam), Giancarlo Bertoldo (Gianca), Giacomo Nussdorfer (Nuss) ed altri compagni. In seguito ho arrampicato con Marco Zarotti, Walter Cesaratto, Paolo Pezzolato e Aldo Fedel.
Come dicevo, non si trattava di passaggi estremi, anzi - considerato che attualmente si è giunti al 9° grado - oggi si può tranquillamente dire che erano vie di media difficoltà, ma ricordo con vero piacere alcune uscite in posti bellissimi ed in compagnia di grandi amici.
Nel periodo dai venti ai trent’anni, unendo la speleologia all’arrampicata su roccia, al torrentismo, allo scialpinismo, allo sci di fondo e all’arrampicata su ghiaccio, devo dire che me la sono proprio spassata. Ma di queste altre attività avrò certamente occasione di parlarne in altre occasioni.
Anch’io, da giovane, non ho potuto sottrarmi a questo meccanismo, facendo convivere - ad un certo punto - le grotte buie con le pareti assolate. Ricordo quasi con tenerezza i primi tentativi fatti per risalire qualche paretina, con ai piedi pesanti scarponi, tanti chiodi nello zaino ma poche conoscenze tecniche. Si facevano delle prove di salita all’imbocco delle grotte, su bassi muri di roccia spesso friabile e muschiata. Ma eravamo entusiasti e, alla fine, tutto concorreva a fare esperienza.
Siamo passati, poi, alla Val Rosandra, che avevamo frequentato in precedenza solo per fare visita alla nota Fessura del Vento. Le prime salite sono state fatte a caso, senza conoscere né il nome né le difficoltà delle vie che andavamo ad affrontare. In questo periodo, però, siamo cresciuti e devo dire che poi, in grotta, si potevano vedere le differenze quando si dovevano affrontare le risalite più impegnative.
Con il tempo abbiamo affinato anche la tecnica e, con l’esperienza e l’allenamento, sono aumentate le difficoltà che eravamo in grado di superare. Nulla di estremo, comunque, ma itinerari di una certa soddisfazione. Ricordo salite sui Falchi e sulle pareti della Bianca, la Grande, il Crinale, tutte in Val Rosandra, ma anche vie nella baia di Sistiana, sulle falesie di Duino ed in Napoleonica. Qualche uscita è stata fatta anche in località un po’ più distanti, come ad esempio sul paretone di Ospo, a Paklenica, nel Velebit, ad Arco e sulla Pietra di Bismantova.
In queste avventure, inizialmente, si sperimentava con Paolo Tamaro (Tam), Giancarlo Bertoldo (Gianca), Giacomo Nussdorfer (Nuss) ed altri compagni. In seguito ho arrampicato con Marco Zarotti, Walter Cesaratto, Paolo Pezzolato e Aldo Fedel.
Come dicevo, non si trattava di passaggi estremi, anzi - considerato che attualmente si è giunti al 9° grado - oggi si può tranquillamente dire che erano vie di media difficoltà, ma ricordo con vero piacere alcune uscite in posti bellissimi ed in compagnia di grandi amici.
Nel periodo dai venti ai trent’anni, unendo la speleologia all’arrampicata su roccia, al torrentismo, allo scialpinismo, allo sci di fondo e all’arrampicata su ghiaccio, devo dire che me la sono proprio spassata. Ma di queste altre attività avrò certamente occasione di parlarne in altre occasioni.
Nella foto si possono scorgere due amici (dovrebbe trattarsi di Paolo Pezzolato (Fox) e Walter Cesaratto) in arrampicata sulla parete chiamata "panza dell'elefante", durante un'uscita arrampicatoria della SAS nella baia di Sistiana (Foto Guglia).
Etichette: Ripensamenti e considerazioni