domenica 10 giugno 2007

Come un tempo si usava, inizierò questa pagina scrivendo “Correva l’anno 1980 …” (data della quale, in verità, non sono completamente sicuro). Eravamo giovani, allenati e discretamente attrezzati. La SAS, in quel periodo, poteva permettersi uscite ed esplorazioni in grotte anche profonde e difficili, e spesso si usciva dall’ambito locale per fare visita a cavità anche relativamente lontane (Veneto, Toscana, Sardegna, Francia, Grecia …). Siccome si stavano avvicinando le festività di Pasqua, è stato deciso di utilizzare quel periodo di vacanza per visitare la grotta denominata Bus della Genziana, sull’altopiano del Cansiglio. Si tratta del maggiore abisso della zona, paragonabile solamente al vicino Bus della Lum, anche se presenta - rispetto a questo - morfologie completamente diverse. Il Bus della Genziana è, infatti, un articolato complesso carsico caratterizzato da un alternarsi di meandri, gallerie, pozzi e sale, per uno sviluppo complessivo di più di due chilometri ed una profondità massima di 587 m.

Non ricordo esattamente tutti i partecipanti all’uscita, ma sicuramente c’erano Bruno Vittori (Bobo) Alberto Lazzarini (Lazzaro), Roberto Cociani (Jocia), Maurizio Glavina (Glavu), Franco Coren e l’amico Giorgio Emili (Rana) dell’Alpina.
Il problema era che non tutti avevano la possibilità di muoversi contemporaneamente da Trieste: c’era chi poteva partire prima e chi dopo; c’era chi doveva ritornare al lavoro subito e chi non aveva alcun problema di scadenze. Per permettere a tutti di raggiungere il fondo, sono state organizzate tre squadre: la prima doveva armare tutta la grotta, la seconda poteva scendere senza alcuna incombenza particolare, la terza doveva recuperava il materiale. Devo dire che, fortunatamente, io mi sono inserito nella seconda squadra, quella che è stata definita “dei turisti”: bisognava solo entrare, apprezzare la grotta ed i suoi pozzi, ritornando fuori senza alcun sacco appeso in cintura. Un giro tranquillo, insomma, soddisfacente e senza alcuna fretta.
La grotta si è rivelata veramente bella, specialmente in alcuni meandri e nei pozzi terminali attivi.
Ricordo tre precisi fatti legati a questa esplorazione. Il primo riguarda la risalita dove, partendo dal fondo dell’ultimo pozzo ed a causa di un armo non perfettamente realizzato, mi sono ritrovato ben presto sotto ad una cascatella d’acqua. La fretta di uscire da quella scomoda posizione, il brusco sforzo fatto a freddo, l’acqua che scolava nella maniche della tuta, mi hanno portato ad avere fortissimi crampi agli avambracci. Mi sono subito preoccupato in quanto, trattandosi dei primi metri di risalita, non avevo certo cominciato nel migliore dei modi ma poi, riscaldandomi e continuando con calma lungo gli altri pozzi, questo inconveniente si è ben presto risolto.
Il secondo fatto è legato, invece, ad uno sbaglio di percorso. La risalita è stata intrapresa da ognuno con il proprio passo di progressione, chi era più veloce, chi più lento. In molti casi ci si trovava a muoversi anche da soli, ma la scelta del percorso sembrava non presentare particolari problemi di orientamento. Uscito da un meandro mi sono ritrovato in una cavernetta, dove ricordavo si immetteva un pozzo da risalire. Dopo aver guardato un poco in giro, ho finalmente ritrovato una corda che si perdeva nel buio del soffitto della sala. Agganciati gli attrezzi sono quindi risalito per una decina di metri e mi sono infilato nel meandro seguente. Sembrava tutto regolare, finché non ho incontrato alcune strettoie che non ricordavo di aver percorso in discesa. Quando il meandro si è ristretto ulteriormente, ho definitivamente realizzato di essermi infilato in un ramo secondario senza uscita. A questo punto nessun problema, bastava ritornare indietro e seguire la strada giusta. Ma questa dove si trovava? Nella precedente perlustrazione della cavernetta non avevo visto altre corde, per cui sono stato assalito da qualche dubbio. Ridisceso nella sala ho cercato a lungo, finché ho intravisto la corda agganciata dietro ad uno spuntone di roccia e seminascosta. Il tutto si è risolto, quindi, per il meglio, ma anche perché appartenevo alla squadra di mezzo. Se fossi stato nella squadra di recupero, uno sbaglio di percorso avrebbe potuto portare ad essere scavalcato dai compagni che recuperavano le corde e che, senza saperlo, avrebbero potuto risalire senza immaginare che qualcuno - che loro pensavano sia avanti - fosse invece rimasto indietro, perso in rami secondari.
Il terzo fatto è invece legato alle discussioni fatte fuori dalla grotta. Parlando con gli altri amici, avevo indicato come la visita della cavità sia stata relativamente comoda, con pozzi interessati dall’acqua solamente nella parte terminale. Altri affermavano, invece, di aver avuto notevoli difficoltà a causa della cascata d’acqua trovata su un pozzo di 60 m a metà grotta. Non riuscivamo a capirci e sembrava quasi che avessimo disceso due rami diversi. Poi abbiamo collegato il tutto alle piogge esterne ed alla facilità con cui l’acqua si convoglia nel sottosuolo partendo dai vasti pianori soprastanti l’abisso. Una breve ma intensa precipitazione aveva portato in profondità una grande quantità d’acqua, che si era riversata in forma di cascata su un pozzo normalmente asciutto. Questo avvenimento, nel corso degli anni, mi ha sempre fatto pensare alle tante situazioni di potenziale pericolo in cui si può trovare uno speleologo, situazioni che, in molti casi, possono essere tanto sottostimate da trasformarsi anche in momenti di particolare gravità.

Il Bus della Genziana rimane comunque una bellissima grotta, relativamente facile ma dalle interessanti morfologie, che mi dicono si sia arricchita - negli ultimi anni - di nuovi rami e prosecuzioni.

L’immagine ritrae tre baldi partecipanti alla spedizione, fuori dalla baracca dove dormivamo: Rana, Jocia ed il sottoscritto.

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posted by Paolo at 12:23 |


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