lunedì 26 febbraio 2007
Ho avuto la tentazione di cambiare la parola visioni con immagini, ma poi non ho fatto la sostituzione. Parlare di immagini è qualcosa di generico: ogni grotta riserba una sequenza di immagini che ci appaiono via via alla vista e riassumono l’ambiente a seconda delle caratteristiche morfologiche dello stesso. Ho lasciato, invece, il termine visioni perché si lega di più ad un concetto di fantasia, ad una interpretazione individuale, a delle sensazioni visive che colpiscono direttamente e suscitano meraviglia in maniera diversa in ciascuno di noi.
Sulla base di questo ragionamento, vi posso parlare solamente delle mie percezioni personali. Le visioni che io conservo delle grotte sono tante ed ognuna è particolarmente significativa. La prima potrebbe essere quella della grande caverna Lindner, sul fondo dell’Abisso di Trebiciano, illuminata a giorno dai fari. Si trattava di una ripresa per un documentario sulla grotta ed in tale occasione ho avuto il piacere di chiacchierare a lungo con Miran Hrovatin, cameraman molto esperto e simpatico, in seguito deceduto assieme alla giornalista Ilaria Alpi durante un’inchiesta televisiva in Somalia. L’ampia caverna illuminata in tutti i suoi dettagli, il monte di sabbia con ai suoi piedi il fiume Timavo, le tante asperità delle pareti evidenziate dai chiaroscuri delle fotofore, penso rappresentino uno spettacolo unico per un vero speleologo. Ma ci sono altre visioni nella mia memoria. Una di queste è sicuramente la grande voragine dell’inghiottitoio di San Canziano, nella vicina Slovenia. Le alte pareti e la forza del fiume che viene inghiottito sono un richiamo irresistibile per chi ama il sottosuolo. Ho sempre preferito le grotte di San Canziano a quelle di Postummia: le prime sono l’esempio concreto delle dinamiche della natura, del potere dell’acqua che, in milioni d’anni, riesce ad intaccare perfino la durezza della viva roccia. Considero invece Postummia quasi come un forviante modello per i turisti, una specie di luna-park ipogeo. Tantissime e bellissime concrezioni, certamente, ma le grotte non sono tutte così perfette e spettacolari, e giudico sbagliato far credere questo ai visitatori paganti. Un’ultima visione potrebbe essere quella, solo per me speciale, dei sifoni della Fossa di Noglar. Dopo un campo di alcuni giorni al suo interno, dopo aver fatto varie risalite, aver scavato una frana ed essere penetrati nei rami nuovi, abbiamo raggiunto una sala sul fondo della quale occhieggiava un vasto e profondo lago. Camminando su una specie di cengetta laterale, abbiamo seguito questo lago finché la volta non andava quasi a raggiungere la superficie dell’acqua. La particolarità del sito appena scoperto, la trasparenza assoluta dell’acqua, la sensazione che il sifone quasi respirasse, rafforzando l’idea che oltre quel passaggio la grotta continuasse con ulteriori lunghi passaggi, il rumore delle sacche d’aria che gorgogliavano lungo la volta quando muovevi la superficie dello specchio d’acqua, la presenza di un caro amico come Libero Degrassi, mi portano a ricordare quel luogo - e quindi la visione che ne conservo - come qualcosa di veramente importante.
L'immagine ritrae la grande caverna Lindner illuminata dai fari, durante le riprese del documentario (Foto Guglia).
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