giovedì 15 febbraio 2007
Ho già parlato di incidenti in grotta, ma quest’ultima volta accennerò ad un episodio che riguarda, invece, le cavità artificiali. Si tratta forse dell’unica situazione di reale pericolo nella quale mi sono trovato personalmente in anni di frequentazione delle opere sotterranee realizzate dall’uomo.
Nell’anno 1997, è stata avviata una campagna di ricerche riguardanti il sito denominato sorgenti di Aurisina. Abbiamo esplorato vasche, gallerie allagate e cunicoli vari utilizzati per la raccolta dell’acqua inviata, dal 1857, alla città di Trieste. Un pomeriggio stavamo esplorando, io e Gabriele Crevatin (Lele), i vari bacini di captazione. Si tratta di ambienti che sono stati realizzati erigendo una diga davanti alle pareti di roccia naturale e coprendo il tutto con un solaio in calcestruzzo. Vani particolari, quindi, dove da una parte si può osservare la nuda roccia dalla quale sgorgano alcune sorgenti, dall’altra la diga di sbarramento e sotto l’acqua che ancora oggi si accumula in notevole quantità. Per poter percorre questi bacini è stata realizzata, all’epoca della loro costruzione, una specie di passerella sospesa, formata da una struttura portante metallica e da un tavolato in legno per il passaggio degli addetti. Tale passerella risulta oggi in pessimo stato di conservazione: la ruggine ha pesantemente corroso le parti in ferro ed il piano in legno è quasi completamente marcito, se non assente. Siamo scesi attraverso una botola affidandoci ad una scala verticale che sembrava di costruzione relativamente recente ed in buone condizioni. Dopo aver perlustrato un po’ le camere di raccolta dell’acqua, abbiamo deciso di ritornare sui nostri passi, perché la passerella non dava alcuna garanzia di resistere anche al nostro semplice passaggio. Giunti sotto la botola, ho affrontato per primo la salita, forse solamente tre/quattro metri per uscire all’esterno. Fatti alcuni scalini, però, ho avuto una spiacevole sorpresa. Con un improvviso schianto la scala si è quasi sbriciolata fra le mie mani e mi sono ritrovato a cadere fino alla sottostante passerella. Non vi racconto degli attimi di puro panico quando l’esile struttura intaccata dalla ruggine ha iniziato a piegarsi e dondolare, ma alla fine ci siamo guardati negli occhi: il passaggio sospeso aveva tenuto. Mi domando ancora oggi cosa sarebbe successo se la passerella fosse crollata, trascinandoci nell’acqua sottostante, dalla quale - per la conformazione delle pareti e per la presenza di grandi quantità di fango scivoloso - era praticamente impossibile uscire. A quel punto, però, bisognava in qualche modo riguadagnare la superficie e vi lascio solo immaginare i tanti tentativi fatti per raggiungere con un cordino, appesantito da alcuni moschettoni, una specie di maniglione fissato presso l’entrata.
Tutte è andato per il meglio, ma da allora ho sempre una certa diffidenza nei confronti delle scale metalliche. Quella in questione, che ha ceduto in un modo così improvviso ed inaspettato, era una struttura in ferro che si presentava solida e con montanti di una certa dimensione, eppure il tutto si è disfatto lasciandomi nelle mani solamente due mozziconi di profilato arrugginito.
Nell’immagine si può vedere la passerella arrugginita che sovrasta i bacini di captazione (Foto Guglia).
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