martedì 5 dicembre 2006
Molto spesso mi è stato chiesto: quale è la cavità artificiale di Trieste che preferisci? In pratica, quale esplorazione ti ha dato più soddisfazioni fra le tante che hai fatto nel sottosuolo della tua città? La domanda è semplice, ma non altrettanto la risposta. Tutte le visite fatte nelle opere artificiali presentano qualche punto di interesse, sia esso di carattere tecnico, storico o architettonico. Però ve ne sono alcune che ricordo con particolare piacere. Una bella esplorazione è stata quella della "Galleria del Bosco Marchesetti", n. CA 3 FVG-TS. L'unica cosa visibile esternamente era un bacino di decantazione dell'acqua, ma si ipotizzava che ci potesse essere qualche altra prosecuzione alle sue spalle. Abbiamo cercato a lungo finché, vuotando un pozzetto con una pompa idrovora, abbiamo localizzato un basso pertugio semiallagato. Ci siamo infilati in quattro ma, alla fine, siamo proseguiti soltanto in due, strisciando nel fango. Abbiamo così raggiunto una bella galleria ascendente, con ricche colate calcitiche ed acqua in abbondanza. Al di là del limitato sviluppo della cavità (113 m), si è trattato di una esplorazione che io considero una delle più impegnative fra quelle che ho svolto e per questo motivo rimane un punto fermo della mia attività.
Se si parla di fango, però, c'è un'altra cavità artificiale che mi viene in mente. Si tratta della "Galleria delle Sorgenti di Aurisina" (n. CA 97 FVG-TS). L'accesso è avvenuto facilmente attraverso una botola, ma poi bisognava avanzare nell'acqua. Ci siamo quindi dotati di apposite mute stagne e così abbigliati abbiamo affrontato il cunicolo allagato, dove ho avuto il mio primo contatto con quello che - da allora - considero il "vero fango", ovvero gli ingenti accumuli di finissima argilla presenti in questa galleria. In quell'occasione, ho avuto l'opportunità di constatare di persona anche quello che si chiama "l'effetto budino", cioè il particolare comportamento del deposito argilloso che, se colpito con un mano, presentava delle vere e proprie onde che si propagavano lungo l'ammasso gelatinoso. Più che camminare, bisognava nuotare nel fango, cercando di restare a galla e non farsi intrappolare dall'ammasso vischioso. E' stata una bella esplorazione, che oggi non prenderei in considerazione di affrontare se non dotato delle dovute attrezzature.

(Continua …)
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