sabato 11 novembre 2006
Vi è una particolare categoria di cavità artificiali presenti nel sottosuolo di Trieste: le gallerie antiaeree costruite durante il secondo conflitto mondiale a difesa della città.
Con tale definizione voglio indicare le costruzioni ipogee che sono state scavate per difendere dai bombardamenti sia la popolazione civile, sia particolari obiettivi militari. Si tratta di una tipologia di ambienti sotterranei che forse può essere considerata ai limiti del campo di ricerca normalmente affrontato dalla speleologia urbana. Il numero di tali opere, l'interesse da sempre destato da questi particolari manufatti e le notevoli possibilità di riutilizzo rendono però opportuna, almeno per quanto riguarda la città di Trieste, un'attenta analisi anche di questa specifica classe di cavità artificiali.
Non intendo certo trattare gli aspetti storici del periodo che ha visto lo scavo e l'utilizzo dei rifugi antiaerei nella città di Trieste. Questo sia per la particolarità delle vicende che hanno riguardato questa parte di territorio, sia perché autorevoli autori hanno già ampiamente trattato l'argomento.
E' necessario ricordare, comunque, che le opere sotterranee utilizzate dalla popolazione hanno quasi sempre rappresentato il risultato degli interventi effettuati nel periodo d'occupazione tedesca della città su quanto realizzato precedentemente dalle autorità civili e militari italiane. Solo i rifugi di carattere militare sono frutto dei lavori di scavo effettuati direttamente sotto il controllo delle truppe germaniche.
In un piano elaborato dalle autorità italiane nel febbraio del 1943 era prevista la costruzione di diciassette gallerie antiaeree, cioè "ricoveri collettivi antiaerei incavernati". In molti casi queste presentavano spiccate caratteristiche di traforo stradale o ferroviario, cioè sono state progettate dalle autorità italiane come passaggi da utilizzare, alla conclusione delle vicende belliche, per incrementare le possibilità di trasporto (e quindi commerciali) del porto di Trieste.
Dopo l'otto settembre 1943, le autorità tedesche si sono ovviamente impossessate di tutte le strutture difensive della città, adattandole alle loro necessità. Con il progredire dei lavori, nel settembre 1944, erano infine disponibili ricoveri civili per un totale di 42.000 mq e 171.000 posti/uomo.
Analoghi manufatti sono stati realizzati e sono ancora visitabili a Muggia, San Bartolomeo, Duino, Monfalcone e Gorizia. Anche queste opere sono parzialmente documentate nel Catasto Cavità Artificiali del Friuli Venezia Giulia, ma non sono state analizzate in questo studio.
Bisogna ricordare che le cavità in questione risalgono a circa 55 anni fa. Si tratta quindi di costruzioni sotterranee recenti, realizzate all'interno di precisi ambiti legislativi e secondo regole progettuali ben definite e tecnicamente consolidate.
Per fare alcune valutazioni sulle loro caratteristiche costruttive (in particolare delle gallerie antiaeree civili), abbiamo confrontato le varie opere sotterranee oggi ancora esistenti con quanto descritto in un fascicolo d'estremo interesse, intitolato "Sinossi del 1° corso informativo di edilizia antiaerea tenuto in Roma presso il R. Istituto di Ingegneria nell'estate dell'anno XIII E.F. (1936)".
Numerose sono le notizie riportate in questo testo, che permettono di farsi una chiara idea di come dovevano essere scavati i "ricoveri antiaerei pubblici", cioè quelle costruzioni sotterranee "che dovevano risolvere il problema dell'incolumità della popolazione che si trovava in strada o che non aveva nella propria casa un minimo di sicurezza".
I ricoveri antiaerei pubblici erano realizzati "a prova di bomba, a tenuta stagna, nei punti più movimentati e con un facile accesso", rispettando sempre delle semplici regole costruttive: gli ingressi dovevano essere alla quota del piano stradale, senza scale ma con rampe; ogni rifugio doveva essere provvisto di gabinetti, di servizio antigas e di pronto soccorso, d'impianti autonomi di luce e forza motrice, di ricezione radio e telefonica.
Il piano di calpestio delle gallerie antiaeree e dei relativi accessi era sistemato in modo da permettere il facile e sicuro transito della popolazione. Pertanto eventuali gallerie non ancora completate per le quali era comunque prevista l'utilizzazione come ricovero permanente antiaereo, ed a Trieste ce n'era più di una, dovevano avere la massicciata conguagliata alla superficie con materiale minuto.
Sino dalla sua costruzione, ogni galleria doveva essere provvista di illuminazione elettrica durante il periodo di funzionamento come ricovero, mediante un impianto autonomo adeguato allo scopo. Tale impianto poteva essere azionato da dinamo o alternatori di opportuna potenza ed essere eventualmente connesso agli impianti di ventilazione. Era previsto comunque, come riserva in caso di mobilitazione, un adeguato numero di "fanali a combustione di sicurezza".
Per far fronte alle necessità ed al soccorso delle persone ricoverate, per avviare rapidamente eventuali opere di sgombero delle macerie e per funzioni di deposito, ciascun tratto di galleria da utilizzare come ricovero era attrezzato con i seguenti locali ed impianti igienico/sanitari:
- un locale di medicazione, con annesso un vano per deposito di materiale sanitario e di protezione antigas;
- delle latrine, con almeno otto posti ogni 1.500 mq. di superficie come ricovero;
- un serbatoio per l'acqua potabile, con capacità non inferiore a 10 mc. per ogni 1.500 mq. di superficie e con condotte di distribuzione ai locali precedentemente indicati;
- un vano per il deposito di attrezzi da zappatore, di materiali da utilizzare in caso d'incendio, di sostanze neutralizzanti, di filtri di ricambio, ecc.;
- un impianto telefonico.
Per quanto riguarda le costruzioni sotterranee di origine militare, il discorso è invece completamente diverso. Altre regole progettuali (sicuramente più severe) sono state applicate prevedendo, in alcuni casi, particolari sistemi di blindatura degli ingressi.
(Continua ...)
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