domenica 9 marzo 2008
Quando ero giovane, alla speleologia si abbinava sempre anche l’attività in montagna e come progrediva la nostra esperienza nell’arrampicata, merito delle frequenti visite alle palestre locali, aumentava anche la voglia di affrontare qualche parete di una certa difficoltà. In montagna ho percorso, infatti, numerose vie, anche difficili, sia in compagnia di soci della SAS, sia con altri amici che condividevano la mia stessa passione.
Un’esperienza di una certa intensità, che ricordo ancora per tutta una serie di particolari, è stata quella relativa alla salita dello spigolo Nord della Cima Alta di Riobianco.
Devo precisare che si tratta di una via semplice, con difficoltà che non superano il quarto grado superiore, che volevamo fare per allenamento e per puro piacere. Siamo partiti in quattro da Trieste e, mentre Grazia e Patrizia ci hanno aspettato alla base, io e Walter Cesaratto abbiamo iniziato a risalire la via a comando alternato. Sui primi tiri di corda niente da segnalare: una via classica, in un ambiente severo e spettacolare, ma priva di grandi difficoltà tecniche. Ad un certo punto, però, sono intervenuti alcuni problemi. Per prima cosa ha iniziato a piovigginare e poi, a causa della nostra poca attenzione, siamo usciti completamente dalla via che avevamo programmato di seguire. Si trattava quindi raggiungere la cima (mancava solamente l’ultimo tiro di corda), arrampicando sotto la pioggia ed improvvisando il percorso. Ovviamente non c’era alcun chiodo di sicurezza e, procedendo a comando alternato, l’ultimo tiro è toccato a me.
Certo ero allenato, ma le condizioni non erano sicuramente quelle ideali. Più salivo, più mi preoccupavo. La roccia bagnata non era delle migliori, non c’erano fessure per piantare chiodi o posizionare nut, e le difficoltà da superare non erano proprio banali. Giunto ad una specie di tettuccio aggettante ho cercato di piazzare un chiodo, ma con deludenti risultati. Bisognava, però, uscire in qualche modo da quella situazione, visto che il tempo stava peggiorando ulteriormente. Ho quindi superato di slancio quel piccolo strapiombo e mi sono ritrovato sulla cima. Ho fatto sicura a Walter e, alla fine, ci siamo dati la mano nei pressi dell’ometto di pietre che segnalava la vetta.
Oggi penso con qualche brivido a quella risalita ed in particolar modo all’ultimo passaggio. In pratica si è trattato di 30 m senza alcuna sicura (il chiodo non avrebbe sicuramente tenuto), su roccia infida e bagnata. Tutto è andato per il meglio, ma poteva anche finire male.
In quel periodo Walter Cesaratto era sicuramente più allenato e bravo di me, e mi piacerebbe sentire i suoi ricordi su questa comune ascensione. Forse, con il passare del tempo, qualcosa nella mia mente ha esagerato la realtà dei fatti, ma quegli ultimi metri di quell’ultimo tiro di corda, li ricordo ancora oggi con una certa apprensione.

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posted by Paolo at 21:00 |


2 Comments:


At 10/3/08 12:21 PM, Blogger Lapantigana

Paolo, eri folle! Una sola volta nella mia vita ho arrampicato col diluvio (paklenica)... e c'era il mio compagno di cordata, quarant'enne e dotato di grande esperienza, che mi consigliava di fermarmi! Ma io, intrepida e avventuriera, salivo e ancora salivo...
Poi son scivolata, forse avrò fatto un volo di 1m... forse... e lo sai come sono i momenti pre-caduta: senti le dita che ti cedono, tutto scivola, inizi a diventare rigido, cerchi di aggrapparti persino con le unghie cortissime... e poi CADI, o meglio detto: ti lasci cadere!
...Ebbene, ho preso talmente tanta paura e freddo che la mia decisione è stata: CHE SIA DO IOZZE O STRANGOLINI, MAI PIU'!!!

...Quelle tipiche giornate che parti col sole e decidi di fare una bella via, e magari pure difficilotta... tanto ti fidi del tuo compagno di cordata... e poi all'improvviso il DILUVIO!

 

At 10/3/08 3:37 PM, Blogger Paolo

Ricordare quella salita mi ha fatto venire in mente due cose:

1) Si tratta di un'attività che bisogna praticare al momento giusto quando fisico, preparazione, esperienza, ma anche passione ed un pizzico di incoscienza ti pervadono. Farlo un momento prima o un momento dopo potrebbe essere estremamente pericoloso. Oggi non accetterei assolutamente i rischi (per quanto limitati) di questa fantastica disciplina (intendo l'arrampicata in montagna, in palestra forse è diverso...)

2) Sono convinto che quando c'è la necessità, il fisico e lo spirito tirano fuori delle risorse inaspettate e particolari. Solo quando sei al limite, quando veramente ti trovi nei guai, quando rischi di brutto, riesci a superare passaggi e difficoltà che forse, in situazioni normali, non accetteresti di sfidare. E qui si potrebbe aprire un grande capitolo sul potenziale umano e sulla necessità di curarlo e disciplinarlo, magari cercando - per quanto possibile - di non sfracellarsi da qualche parete.

Un abbraccio