lunedì 25 febbraio 2008
Dopo aver parlato di sacchi a pelo e di attrezzature, accennerò al secondo avvenimento strano successo durante la visita all’Antro del Corchia del 1973. Stavamo risalendo i pozzetti e le lunghe gallerie del “Ramo degli Inglesi”, finché non ci siamo accorti di uno strano fenomeno: l’aria stava addensandosi in una leggera nebbiolina diffusa. Non si trattava di un po’ di vapore emesso da nostri corpi accaldati o della condensa del nostro respiro. Era qualcosa di completamente diverso. Dopo qualche minuto, l’atmosfera si è fatta ulteriormente nebulosa e la visibilità ha cominciato a ridursi decisamente. A questo punto è iniziato a farsi sentire anche l’odore: un sentore strano, che sapeva di umido e di fumo. Abbiamo quindi compreso, qualcosa stava bruciando nei rami profondi dell’Antro di Corchia. Non abbiamo avuto che pochi istanti per elaborare qualche congettura, finché il fumo si concentrato in maniera tale da obbligarci ad una sosta non programmata. Ricordo che ci siamo seduti in circolo e che, lentamente, anche la figura dell’amico che ci stava davanti è svanita nella nebulosità sempre più fitta. Ad un certo punto, oltre a proteggerci con un fazzoletto annodato sul viso (oggi non si usa più, ma allora tutti avevamo un “foulard da combattimento” che ci portavamo sempre appresso nelle più svariate avventure), abbiamo anche deciso di chiudere quasi tutti i sistemi di illuminazione, per sprecare il meno possibile carburo e batterie. L’atmosfera era quasi surreale: noi seduti a poco più di un metro di distanza l’uno dall’altro, che non riuscivamo più a vederci a causa del fumo, ad una profondità di circa 400 m sotto terra. Il tutto è durato forse mezzora, poi il respiro della grotta ha portato il fumo verso altre fessure e gallerie. Quando è stato nuovamente possibile, abbiamo ripreso la risalita, fino a giungere al campo dei “fiorentini”, ove abbiamo incontrato gli ultimi uomini che stavano predisponendo gli ultimi sacchi. E’ curioso prendere atto come, questi speleo affermassero, in tale occasione, che loro ci tenevano alla pulizia della grotta e - quindi - quale soluzione migliore se non quella di bruciare tutti i rifiuti prodotti dal lungo campo interno? Bisogna poi dire che, per un gioco di correnti d’aria, loro di fumo non ne hanno visto tanto, in quanto lo stesso è stato trasportato e si è concentrato nel punto in cui l’abbiamo incontrato noi.
Prima di abbandonare definitivamente il campo, gli amici “fiorentini” stavano completando di sotterrare i rimasugli del piccolo rogo, per cancellare tutte le tracce del loro passaggio. Ricordo ancora con sgomento come, fra i residui del fuoco, fosse ancora visibile un lembo di nailon appartenente ad un sacco di pelo di piuma usato durante il campo stesso.
Ora, dopo moltissimi anni, mi resta la soddisfazione di poter affermare che, se molti speleologi sono rimasti bloccati in grotta da una piena (tanta acqua), ben pochi possono vantare di essere stati bloccati dal fumo di un incendio. La speleologia è bella perché è varia…

L’immagine ritrae una bella cascatella lungo il “Ramo degli Inglesi” (Foto SAS).

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posted by Paolo at 11:11 |


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