lunedì 15 ottobre 2007
Nel post intitolato Torri di Slivia ho parlato di una vecchia vicenda su cui avevo voglia di sfogarmi, come si trattasse del famoso sassolino che da troppo tempo mi tenevo nella scarpa e del quale volevo liberarmi. Ma esiste anche un’altra circostanza sulla quale ho taciuto per anni, della quale non ho mai trovato - per ora - il momento opportuno per parlarne con i diretti interessati. Non so se un blog è l’occasione giusta per dare delle giustificazioni su avvenimenti passati da tanto tempo, ma cercherò di spiegare come si sono svolte le cose. Per prima cosa devo precisare che non intendo fare il nome della grotta in questione, ne quello dei personaggi coinvolti, ma forse chi conosce questi vecchi fatti riuscirà a collocare nella giusta posizione queste mie parole. Come ho detto, risalgo a tanti anni fa e mi riferisco ad una bella area carsica relativamente vicina a Trieste. Esisteva in zona un piccolo gruppo speleologico, con cui avevamo anche un certo rapporto di amicizia e con il quale si era a lungo parlato di attività e di collaborazioni. Questa associazione aveva trovato una bella risorgiva, posizionata in un punto molto particolare e veramente interessante per tutta una serie di sue caratteristiche morfologiche ed idrologiche. Varie sono state le discussioni su questa cavità ma, nonostante le nostre richieste, non siamo mai stati accompagnati in una sua visita e non ci è mai stata confidata nemmeno la sua esatta ubicazione. Il rilievo di questa grotta, inoltre, non mai è stato consegnato al Catasto. Il tempo, però, corre inesorabilmente e le situazioni mutano velocemente. Ad un certo punto, di quel gruppo si era persa progressivamente ogni traccia e non riuscivamo più a trovare gli amici di un tempo: chi si era sposato, chi era partito, che aveva abbracciato altri interessi. Un giorno, inaspettatamente e per motivazioni del tutto estranee alla speleologia, abbiamo rintracciato l’ingresso di una risorgiva, posto in una posizione alquanto particolare. E’ bastato fare qualche considerazione, qualche confronto con quanto avevamo sentito dire, ed è emerso subito che quella grotta doveva essere proprio quella già trovata dal gruppo locale e che tante volte avevamo chiesto di visitare. A questo punto abbiamo ragionato su cosa era meglio fare ed abbiamo preferito far finta di niente: non è con una grotta in più o una grotta in meno che si misura l’attività di un gruppo speleologico … Passano i mesi e scopriamo, però, che altri speleologi triestini, di un altro gruppo, stanno setacciando il territorio alla ricerca proprio di quella cavità. Ai resoconti che ci venivano fatti di attente battute di zona e di calate con le corde lungo varie pareti, noi rispondiamo con indifferenza, non facendo trapelare che invece sapevamo esattamente la posizione dell’ingresso. Ma gli altri speleologi erano ben accaniti nella ricerca e, uscita dopo uscita, hanno iniziato ad avvicinarsi sempre più alla reale posizione della cavità ricercata. A questo punto abbiamo fatto un ragionamento: chiedendo in paese ci hanno confermato nuovamente che il gruppo locale non esisteva praticamente più e gli speleologi triestini, continuando nelle ricerche, avrebbero localizzato ben presto la grotta, procedendo immediatamente al suo rilievo senza alcuna remora di sorta. Noi conoscevamo l’ingresso della cavità oramai da quasi quattro anni e non avevamo ritenuto opportuno procedere al suo rilievo, ma a questo punto il tutto aveva un senso? La grotta sarebbe stata comunque documentata e perché allora non farlo direttamente noi? Abbiamo così organizzato un’uscita specifica per procedere al rilevamento di quella bella risorgiva che, finalmente, abbiamo potuto visitare. Da allora sono passati molti anni e la cosa è scesa nel dimenticatoio. Un po’ di tempo fa ho sentito, però, che proprio i triestini che hanno cercato per lungo tempo la grotta per rilevarla a proprio nome, si sono lamentati con il gruppo locale - nel frattempo risorto dalle sue ceneri ed oggi un’importante realtà nel panorama regionale - condannando noi per quella che consideravano una vera e propria piratata (azione da pirata che “ruba” una grotta trovata da altri). Non ho mai fatto sentire la mia voce su questa vicenda, ma forse un giorno (spero molto presto) avrò l’occasione di porgere le mie scuse al gruppo speleologico locale, al quale spiegherò con calma tutta la storia e cercherò di far capire come, al momento degli avvenimenti, fossimo stati veramente convinti che quell'associazione non esistesse praticamente più. Forse avrò anche l’occasione di dire agli speleologi triestini che allora hanno cercato disperatamente la grotta, che se non fosse stato per la loro determinazione, da parte nostra non avremmo nemmeno messo piede nella cavità in questione. Dirò anche che forse prima di usare termini come etica speleologica e parole come piratata, qualcuno dovrebbe fare un approfondito esame di coscienza. Non mi dilungherò di più, in quanto penso di aver annoiato a sufficienza chi non è riuscito a riconoscere i personaggi e la scena dove si è svolta questa vecchia commedia. Per chi invece è in grado di capire, confermo che questo è stato l’esatto svolgersi dei fatti ed auspico ci sia presto la possibilità di parlarne serenamente, magari davanti ad un buon bicchiere di vino.
L'immagine raffigura uno scorcio della forra che passa nei pressi della grotta in questione .... (Foto Guglia).
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