lunedì 29 ottobre 2007
Devo dire che sono sempre stato, in alcune cose, un perfezionista. Ci sono campi nei quali chiunque può cimentarsi a proprio piacimento, senza pretendere particolari risultati. Ci sono altri settori che, invece, necessitano un minimo di riuscita. In questo caso specifico, mi riferisco alla fotografia in grotta: attività che deve produrre qualche immagine degna d’attenzione o che è meglio abbandonare nel caso di risultati deludenti. Non tutti sono fotografi ma, se decidi di esserlo, il tuo prodotto deve essere almeno sufficiente, altrimenti cambia hobby.
C’è stato un periodo nel quale non andavo mai in grotta senza la mia fidata reflex Nikon e, con il tempo, ho capito anche come ottenere diapositive più che soddisfacenti. L’esperienza insegna e dopo decine e decine di scatti, ti viene spontaneo trovare l’esposizione, l’inquadratura e la luce ideale. Poi il gioco ti prende la mano e cominci a muoverti con almeno tre diverse fonti di luce e relativi speleo/assistenti addetti alle manovre. Come ho già detto, penso di essere arrivato ad un livello più che buono, con alcune diapositive che considero quasi ottime.
Passati gli anni, però, è arrivata la rivoluzione della fotografia digitale. Dopo un periodo di inattività, dotato di una nuova macchina priva di pellicola ma prodiga di pixel, sono ritornato in grotta per fare qualche bel scatto. Il risultato è stato, però, più che deludente. Ho scoperto in prima persona che tutta la mia esperienza accumulata non valeva più nulla e che dovevo ricominciare praticamente da capo.
Non mi raccapezzavo sul fatto che scattando 30 foto, 25 di queste fossero da buttare nel cestino (in questo caso quello di Windows). Problemi di esposizione, problemi di flash, problemi di sensibilità e relativi disturbi, nuove difficoltà da comprendere, sulle quali sperimentare e per le quali trovare un rimedio.
Solo oggi, alla terza macchina fotografica digitale (nuovamente una reflex Nikon) e dopo aver adeguato le tecniche ed i materiali, posso dire di aver prodotto qualche risultato discreto. La fotografia digitale dovrebbe seguire le stesse regole della fotografia tradizionale su pellicola, ma in realtà si tratta di qualcosa di completamente diverso.
I termini usati sono gli stessi (tempi, diaframmi, sensibilità, latitudine di posa, profondità di campo, …) ma agli effetti pratici tutte le funzioni devono essere riscoperte ed analizzate di nuovo. Spero solo di raggiungere alla fine anche nel digitale i risultati un tempo ottenuti con le macchine tradizionali.
A completamento di questo post allego un’immagine che risale ai primi anni ottanta, scattata nella grotta denominata “delle torri di San Pelagio” (n. 4205 VG), che riassume perfettamente lo stile fotografico di quel periodo: modello in posa e vari lampi di luce dotati di filtri colorati. Oggi sarebbe improponibile, in quanto si da la precedenza agli scatti nitidi che mettono in risalto le reali forme ed i veri colori delle concrezioni e del mondo ipogeo.
Lo scatto, che ritrae l’amico Aldo Fedel, mi riporta però ad altri momenti, ad altre attrezzature, ad altri modi di andare in grotta ed alle relativa nostalgia per quei tempi andati (Foto Guglia).
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