venerdì 21 settembre 2007
Oramai si tratta quasi di una sfida vera e propria: speleologo, tu da che parte stai, lampada carburo o lampada a led? Sei fra i tradizionalisti che ci vogliono vedere bene anche se sporcano un po’ o sei fra gli innovatori che prediligono un’illuminazione diversa e sicuramente più “politically correct”?
Per ognuna delle due soluzioni ci sono pregi e difetti. Sicuramente la lampada a carburo fornisce una luce calda e diffusa, alla quale siamo abituati oramai da anni; nel contempo pesa, puzza, inquina e quando si intasa può portare un sacco di problemi e complicazioni. La lampada a led, invece, non inquina, possiede lunga autonomia, ma fornisce una strana luce bianca, in alcuni casi perfino fastidiosa.
Certo, i tempi stanno lentamente cambiando e la tecnologia offre ogni giorno nuove possibilità. Le moderne fotofore elettriche sono sempre più potenti, con maggiore autonomia e con una temperatura di colore più gradevole alla vista. Personalmente, ho fatto la mia scelta: essendo oramai la mia attività rivolta principalmente alle cavità artificiali ed alle grotte di media difficoltà, non potevo che optare per i led. Più precisamente per una lampada principale alimentata a 4,5 Volt con un superled da 50 Lumen, abbinata ad una seconda lampada con 4 led ad alta luminosità. Due impianti autonomi, utilizzabili singolarmente o in abbinata (normalmente li accendo entrambi, avendo uno luce più diffusa, l’altro più concentrata) con un’autonomia di oltre 10 ore alla massima potenza. Per le mie esigenze, il non plus ultra.
Parlando di illuminazione speleo, mi viene in mente un episodio accaduto nel 1976, durante una visita alla grotta denominata A12, sull’altipiano del Canin. Ricordo bene che eravamo alla base di un pozzo e stavamo trasportando dei sacchi di materiale per progredire ulteriormente nella discesa. Ho perfettamente in mente la scena: la galleria che stavamo percorrendo era caratterizzata da due punti in cui la volta si abbassava, formando una specie di cavernetta. Io passavo i sacchi al compagno che stava in questa saletta, che a sua volta li trasferiva ad un altro amico che era dall’altra parte, dove la volta si alzava nuovamente. Mi vedo ancora mentre sollevo i sacchi e li passo avanti, all’interno di questo passaggio più basso. Ricordo anche quello che è successo subito dopo: mentre mi avvicinavo con un altro sacco, ho visto una forte fiammata che usciva dalla cavernetta. Non un piccolo lampo, ma una vera e propria esplosione, con tanto di botto e di violenta vampata rossastra. Rammento che, a questo punto, non avevamo quasi il coraggio di andare a vedere le condizioni del nostro amico, coinvolto in pieno dall’esplosione (si trattava di Andrea Loretti, conosciuto con il nomignolo di Gobetti). Finalmente dal fumo è emersa una figura barcollante: una testa con i capelli bruciacchiati ed una faccia completamente annerita, meno che in corrispondenza della sagoma degli occhiali. Era successo che uno dei sacchi di materiale conteneva la riserva di carburo, però maldestramente chiusa in un contenitore poco impermeabile. Nella stanzetta c’era, in compenso, una bella pozzanghera di acqua fresca e la fiammella sul casco di Andrea ha fatto il resto. Avevo spesso sentito parlare del potenziale pericolo del carburo e della necessità di maneggiarlo con estrema cura, e in quell’occasione ho imparato molte cose a proposito.
Probabilmente non è stata questa particolare circostanza a farmi decidere, ora, per un’illuminazione di tipo elettrico, ma certo ho ancora ben presente la faccia del mio amico, stralunata ed affumicata dopo l’esplosiva esperienza.
Per quanto riguarda l'immagine, prego sentitamente di osservare solamente la soluzione adottata per l'illuminazione elettrica e di tralasciare la faccia stralunata (la mia) subito sottostante.
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