mercoledì 5 settembre 2007
Durante i miei trentacinque anni di speleologia, in certi periodi molto attiva ed in altri più "osservativa", ho fatto un po’ di tutto, alcune cose buone ed altre meno. Qualche mia scarburata è sicuramente ancora presente in certe grotte (risalente a periodi dove tale abitudine era prassi normale), ho scavato e demolito, e talvolta ho danneggiato qualche concrezione per progredire oltre nell’esplorazione. Nella mia carriera c’è, però, un avvenimento di cui, forse in maniera immotivata, sono abbastanza fiero. Non ne avrei certo parlato, se recentemente qualcuno non mi avesse preso in giro relativamente ad una mia supposta incapacità di identificare nuove prosecuzioni ed alla necessità che altri debbano intervenire per risolvere certi problemi esplorativi.
Ma spieghiamo il tutto con calma e precisione.
Intanto identifichiamo il luogo: il fatto si è svolto nella grotta denominata "Torri di Slivia" (n. 39 VG). Per la SAS questa non è stata certo una grotta come tutte le altre. Per anni la mia società ha lavorato nella sistemazione e nel potenziamento delle sue strutture interne per permettere un accesso più facile e tantissime sono state le comitive di studenti (dagli asili alle scuole superiori) che abbiamo accompagnato in questa grotta. Al suo interno abbiamo avviato svariate iniziative rivolte alla divulgazione del mondo ipogeo ed organizzato concerti con tanto di palco smontabile innalzato nella grande caverna. Per chi non conoscesse questa cavità, si può dire che si tratta di un ampio vano adorno di bellissime concrezioni (le "torri" ricordate anche nel nome), che presenta due ingressi: un pozzo naturale di 40 m per gli speleologi esperti ed un ingresso artificiale (realizzato già negli anni sessanta) per i normali escursionisti. Come supporto ai vari lavori intrapresi, abbiamo ritenuto opportuno (nel 1988) predisporre un nuovo rilievo di precisione della grotta. Tali misurazioni sono partire dalla definizione di alcuni capisaldi principali identificati con il teodolite, dal quale si dipartivano poligonali secondarie tracciate con strumenti di uso speleologico. Quest’attività ha visto la presenza nella cavità di una piccola squadra di rilevatori per varie domeniche consecutive ed è durante una di queste uscite che ci siamo accorti di una cosa curiosa. In una giornata di forte Bora abbiamo potuto verificare come da una fessura presente su un’ampia colata calcitica si sprigionasse un possente e rumoroso "soffio" d’aria, che variava d’intensità in diretta relazione con le raffiche esterne del vento. Abbiamo verificato attentamente questo fenomeno che, pur avendo ovviamente origine da qualche pertugio sconosciuto che si apriva verso l’esterno, dava la precisa sensazione di essere collegato anche a dei vani di una certa dimensione. La decisione da prendere era semplice: lasciare tutto come stava, rinunciando magari a qualche decina di metri di nuovo sviluppo, oppure aprire un bel passaggio praticabile all’interno di una colata ricca di colonne, drappeggi e concrezionamenti vari.
Ci abbiamo pensato un po’ e la nostra decisione è stata la seguente: non ne valeva la pena. Ci sono ancora tante grotte da trovare, tante prosecuzioni da identificare, senza andare a demolire una cavità conosciuta da sempre per le sue concrezioni. Ci sono ancora tante fessure soffianti legate a fenomeni profondi, dove l’aria che si sprigiona è legata al "respiro " del mitico Timavo e non certo alle imprevedibili folate della Bora. Abbiamo quindi archiviato questa informazione fra le tante altre che riguardavano la grotta … e gli anni sono passati tranquillamente, finché (nel 1993) un altro gruppo speleologico locale ha rintracciato quella stessa fessura ed ha deciso in maniera diversa dalla nostra.
Devo subito precisare che non intendo condannare o criticare nessuno, e che la demolizione in grotta è attualmente una prassi consolidata che ha dato, in molti casi, grandi risultati. Ho più difficoltà ad accettare il fatto che qualcuno mi abbia evidenziato come, nonostante la nostra lunga frequentazione della cavità, non avessimo mai visto la possibile prosecuzione e che invece altri, in un batter d’occhio, siano venuti, abbiano praticato lo scavo e trovato subito la nuova galleria. Non voglio parlare di etica speleologica, o di coscienza naturalistica, o di altri moralismi del genere: ognuno si gestisca queste cose da solo, come meglio crede ed in completa autonomia. Voglio invece parlare di scelte: noi abbiamo fatto la nostra e questa è degna di rispetto almeno come quella di chi invece ha preferito agire a colpi di demolitore.
Certamente su queste faccende ho la mia personalissima idea e penso che ci debba essere un ragionevole compromesso fra i danni causati, con la rottura di equilibri instauratisi in tante migliaia d’anni, e la smania di trovare ad ogni costo una prosecuzione. Ci sono grotte bruttissime, scavate nella nuda roccia, dove uno scavo arreca pochi danni, specialmente se praticato con intelligenza ed attenzione. Ci sono altre grotte, invece, che per le loro speciali caratteristiche e certamente non solo per la presenza di belle concrezioni, meritano sicuramente più attenzione e rispetto.
Come ho detto prima, non rinnego la scelta fatta allora e, anche se non tutti possono capirlo, ripenso ancora oggi a questa faccenda con un certo senso di orgoglio per la decisione presa. Certo, guardando il buco che c’è ora in mezzo alla colata per accedere al nuovo ramo dei "Grottenarbeiter", mi domando a cosa sia servita tale nostra decisione. Pazienza, la vita, nel bene e nel male, è anche questa …
L’immagine ritrae la caverna principale, ricca di concrezioni, della grotta denominata "Torri di Slivia" (Foto Guglia).
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