sabato 3 marzo 2007

Ci sono dei libri che segnano in maniere indelebile la crescita di un ragazzo. Sono testi che, probabilmente, vengono a dire qualcosa proprio nel momento in cui l’adolescente ne ha bisogno. In un altro periodo della vita non ci sarebbe lo stesso risultato, ma se l’occasione è quella giusta, l’effetto può essere, nel bene o nel male, esplosivo.

Per quanto riguarda la mia gioventù, ci sono alcuni libri che considero fondamentali. Mi vengono in mente, fra i tanti, Siddharta di Erman Hesse, oppure I vagabondi del Dharma di Jack Kerouac.
Anche in relazione alla speleologia, c’è un particolare testo che ha rappresentato per me qualcosa di speciale. Si tratta del libro Una frontiera da immaginare di Andrea Gobetti. Questo volume del 1976, corredato da belle fotografie, racconta le molteplici esperienze dell’autore, forte esploratore del Gruppo Speleologico Piemontese, fatte in tante grotte ed in montagna, assieme ad una allegra compagnia di amici, pazzi e colorati.
Al momento della pubblicazione, Andrea aveva qualche anno più di me e penso che ogni giovane speleo di quel periodo si sia inevitabilmente riconosciuto nelle sue avventure, nella sua evoluzione interiore che lo ha portato alla ricerca delle prestazioni più estreme quasi come contrapposizione alla vita piatta della città. Da quelle pagine traspiravano voglia di libertà, originalità, fantasia ed un concetto di amicizia ben saldo e radicato. Anche la sequenza degli avvenimenti vissuti dall’autore, che è passato dalle grotte buie ed umide alle assolate pareti di calcare da scalare, ha avuto - almeno per quanto mi riguarda - una precisa somiglianza con le mie vicende personali. Anch’io, con le mie peduline rosse da arrampicata, ho cominciato a salire percorsi via via sempre più difficili, in compagnia di una banda di scalmanati, che però erano dei veri amici.
Andrea Gobetti saliva vie nel Verdon o nelle Calanques. Io arrampicavo in Val Rosandra e sulle falesie di Duino. Lui frequentava nomi illustri nel panorama dei grandi rocciatori di allora, io mi alternavo in cordata con Paolo Tamaro (Tam) e Giancarlo Bertoldo (Gianca), e solo in inseguito ho provato a legarmi alla corda di arrampicatori più forti di me, come ad esempio l’amico Aldo Fedel. Si trattava, ovviamente, di situazioni e difficoltà tecniche ben diverse, ma in quegli anni ho avuto l’impressione che le sensazioni da me provate e quelle così ben descritte nelle pagine della pubblicazione, siano state comunque le stesse.
Nel libro, ricordo particolarmente il capitolo intitolato “Ricerca di Gianpiero Motti”, che racconta l’angosciosa ricerca di un amico disperso in montagna, con un lieto finale conclusosi in una sbornia colossale. Devo confessare che, per alcuni passaggi di questo capitolo, allora mi sono quasi commosso…
Io non ho conosciuto personalmente Andrea Gobetti e devo dire che qualcuno che invece ha avuto l’occasione di frequentarlo, ha commentato dicendo che alla fine non era un grande esploratore, che c’era in lui molta finzione e che si era cucito addosso un personaggio completamente costruito. Io ho avuto la possibilità di vederlo una sola volta e mi ricordo che, alla fine, mi è sembrato brutto, strano e ben diverso da come me l’ero immaginato. Ma questo non ha molta importanza. Devo dire che quel libro ha avuto il merito di raccontare delle storie che erano esattamente quelle che io avrei voluto scrivere, di presentare delle prospettive di libertà che erano proprio quelle che io stavo cercando, narrando il tutto con un linguaggio giovane e diretto che era lo stesso che io usavo ogni giorno.
Bisogna considerare che allora ero un adolescente e che, in tale momento della crescita, può risultare utile avere qualche riferimento da seguire. Non voglio dire che Andrea Gobetti sia stato per me un esempio di vita (ovviamente ce ne sono stati di migliori …), ma penso che quel libro sia servito ad ampliare i miei orizzonti di ragazzino, a farmi capire che, nelle grotte come sulle pareti da arrampicare, potevo ritrovare stimoli e situazioni nuove, in un contesto di libertà e fantasia che allora stavo ancora cercando e che proprio nell’ambiente speleo avrei definitivamente trovato.
Voglio tranquillizzare tutti precisando che poi, con il tempo, di libri ne ho letti tanti e ognuno di questi, indistintamente, ha contribuito a farmi diventare quello che sono. Quella frontiera da immaginare, però, la tengo cara in un angolino del mio io profondo, come un momento piccolo ma significativo del personale percorso di esperienza e di crescita che ho affrontato in gioventù.

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posted by Paolo at 16:22 |


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