sabato 10 marzo 2007
E’ dal 1984 che visito e studio l’acquedotto teresiano. Penso di essere la persona che meglio conosce i suoi pozzi e le sue gallerie. Mi ricordo che, nell’anno 1994, abbiamo iniziato una campagna di monitoraggio della qualità e delle portate dell’acqua che ancora oggi scorre all’interno delle sue gallerie.
Come succede in questi casi, siamo partiti in tanti ma, con il tempo, ci siamo trovati in pochi. Inizialmente la novità ha richiamato molti interessati: durante le uscite c’era chi misurava, chi cronometrava, chi fotografava, chi scriveva … Con il tempo, siamo rimasti solo in due, io ed il sempre presente Armando Halupca. Lui restava all’esterno, a guardia del tombino aperto, io scendevo nella galleria e raccoglievo i dati. Nelle prime uscite mi preparavo di tutto punto: stivali, tuta, casco, illuminazione, strumenti, ecc. Poi, con il passare dei mesi, la mia attrezzatura è via via diminuita, fino a ridursi ad un paio di stivali in gomma ed una lampadina elettrica fra i denti. Non è certo una cosa di cui vantarsi, ma quelle misurazioni erano state relegate a semplici uscite di routine, da risolversi nel minor tempo possibile. Tutto andò bene finché, nel mese di marzo, le misurazioni furono fatte in occasione di un periodo di eccezionale piovosità. Appena sceso nella galleria mi accorsi subito che il corso d’acqua era decisamente aumentato, occupando una buona parte del passaggio. Decisi di procedere comunque, camminando sopra una tubatura posizionato a lato del cunicolo, guadagnando così una sessantina di centimetri utili. Il viaggio di andata non destò particolari problemi, in quanto mi muovevo con attenzione, e riuscii perfino a non riempirmi d’acqua gli stivali (i mitici trombini). Durante il ritorno, invece, le cose si complicarono. Dopo un breve tratto, la torcia elettrica decise di spegnersi. Nonostante colpi, strofinamenti ed imprecazioni, la lampadina mandava solamente qualche tenue lampo di fioca luce nell'oscurità. Devo precisare che non si è mai trattato di una situazione di pericolo, in quanto conoscevo perfettamente la strada e non vi erano insidie durante il percorso. Solamente il livello d’acqua poteva dare qualche fastidio e, al massimo, il tutto si sarebbe risolto con un bel bagno: ed è esattamente quello che accadde. Procedendo a tastoni camminando sopra la tubatura, non ci volle molto perché io inciampassi su un muretto di sostegno e che, nonostante ogni sforzo per evitarlo, finissi in acqua. Come ho già detto, nessun pericolo, ma un penoso viaggio di ritorno, guidato dai rari sprazzi di luce ed immerso fino alla cintola nell’acqua fredda.
Uscito all’esterno, feci finta di niente, in quanto non avevo nemmeno qualcosa con cui cambiarmi. Probabilmente Armando non si è nemmeno accorto del mio bagno. Da allora, almeno per quanto riguarda l’illuminazione, ho imparato la lezione e non sottovaluto nemmeno una facile uscita nelle gallerie dell’acquedotto. Sulla mia testa c’è sempre il casco, con una doppia fonte di luce indipendente. Meglio prevenire che curare …
(Foto Guglia)
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