venerdì 20 giugno 2008
Il giorno di chiusura del 6° Convegno Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali a Napoli ha previsto anche la visita del complesso ipogeo sottostante la Basilica di San Lorenzo Maggiore.
Scavando proprio al di sotto dell’edificio sacro, gli archeologi locali hanno scoperto dei vani particolarmente interessanti: è possibile accedere addirittura ad un tratto lungo più di 50 m di un cardine romano (strada che si incrociava ortogonalmente ai decumani). Su questa via si affacciavano varie botteghe: abbiamo potuto osservare osterie, un forno, una lavanderia e quello che viene chiamato l'Aerarium, locale dove - si dice - venissero conservati i tesori cittadini derivanti dalle tasse. Giunti alla fine di questo tratto di strada, è possibile deviare in uno dei quattro lati di un criptoportico, realizzato da vari ambienti collegati l’uno all’altro, dotati di appositi lucernari per la ventilazione e l’illuminazione. Questi ambienti sono stati riconosciuti come parti del mercato romano (macellum) ed erano dotati di banchi di pietra per l’esposizione della merce.
La guida ha raccontato come, alla fine del V secolo d.C., l'intera area fu raggiunta e ricoperta da una colata di fango di origine alluvionale, per cui fu abbandonata, diventando poi la base per l’edificazione della soprastante basilica paleocristiana.
A Trieste abbiamo i resti del Teatro Romano e la bellissima basilica della Madonna del Mare con i suoi mosaici, ma tutto ciò non è minimamente paragonabile a quanto visto in questi sotterranei. Mi è sembrato di percorrere realmente il perimetro di un’insula romana, di sbirciare nelle botteghe allineate e di soffermarmi in un vicolo di 2000 anni fa. E’ una sensazione non sempre percepibile, perché spesso il monumento (o ciò che ne resta) emana un’atmosfera assente e remota. Le rovine molto spesso puzzano di museo e danno l’idea di qualcosa di contraffatto. Nel caso dei sotterranei di San Lorenzo Maggiore, ho avuto invece la percezione di qualcosa di vissuto e quasi mi aspettavo di veder comparire qualcuno vestito con la toga, che mi volesse affrontare con parole dal suono antico. Probabilmente sarà stato perché si trattava dell’ultimo giorno della mia permanenza a Napoli ed ero veramente stanco…

L’immagine mostra un tratto del cardine romano con, sulla destra, le entrate alle varie botteghe (Foto Guglia)

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posted by Paolo at 21:32 |


2 Comments:


At 13/7/08 11:28 AM, Blogger Lapantigana

La foto che hai inserito è meravigliosamente stupenda ed evocativa. Son talmente malata d'antichità (e tu credo sappia bene cosa significa stare con qualcuno "malato d'antichità", vero!?) che quando entro in contatto o con un luogo o col più piccolo oggetto appartenente ad un altro tempo son convinta di sentire e di vedere la vita propria che quell'oggetto, quel luogo avevano all'epoca. E' come se potessi sentire e vedere le voci latine... o gli antichi dialetti medievali... Credo tu possa capire questa cosa, anzi: ne sono quasi sicura. Anche se direi che la vivi in maniera un po' (tanto) diversa. Ma vedere cosa di tanto affascinante ed intatto ci è rimasto per chissà quale "motivo", è come poter godere delle nostre origni, dei nostri antenati. E' come se potessimo capire, un po' di più, chi siamo, da dove veniamo... che sono un po' "tutte" quelle domande che la gente comune così come i filosofi, in primis, si pone dinanzi alla vita. Bè, legger Cicerone, Svetonio, Plinio il vecchio... o Dante, Boccaccio... è assai interessante, ma mai quanto viver e veder la reale antichità.

 

At 15/7/08 11:41 AM, Blogger Paolo

Ciao Giara. Condivido sicuramente sul fatto che entrambi siamo “malati d’antichità”, forse con qualche lieve differenza. Tu, per quanto ho avuto occasione di capire, sei più legata ad un discorso “teorico”, all’affascinante presentarsi, sovrapporsi e mescolarsi delle teorie del pensiero, all’approccio umano - mediato nel corso dei secoli - rispetto ai grandi e piccoli problemi della vita, alle implicazioni che tutto questo ha portato nel campo della filosofia, della letteratura e dell’arte in genere.
Io, invece, pur apprezzando tutto questo, ho un particolare debole per le cose un po’ più concrete, ovvero cosa ha fatto l’uomo nei secoli, per stare meglio e per risolvere alcuni dei suoi problemi fondamentali. Mi affascina l’attività lenta ma continua che ha portato alla modificazione del territorio, alla creazione dei primi centri urbani, alle soluzione (inizialmente semplici poi, via via, sempre più complesse) adottate per trarre il meglio dall’area di insediamento. Penso che attraverso l’attenta osservazione delle piccole cose, sia possibile imparare molto anche sulle persone che le hanno costruite. Una piccola cisterna, ad esempio, se interpretata nel modo giusto, può dare molte informazioni sulla gente che l’ha realizzata, sulle usanze, sulle necessità, sui rapporti sociali all’interno della comunità. Se poi è possibile trovare qualche reperto, qualche oggetto che ha varcato i secoli per giungere fino a noi, potremo leggere attraverso questo frammento del passato ulteriori informazioni, altre storie, altri brandelli di vita vissuta...
Penso che si tratti, semplicemente, di essere curiosi rispetto a quello che è successo prima di noi, avendo poi la serenità e l’onestà di osservare ciò che sta succedendo oggi per dare vita ad un progetto credibile per il futuro. Una frase fatta che si legge spesso da varie parti è, infatti, quella che recita “guardare al passato per progettare il futuro”. In linea di massima sono d’accordo: non c’è progresso se non si parte dal recepimento e dall’elaborazione di quello che c’è stato. Solo prendendo atto delle esperienze, delle idee e del pensiero di chi ci ha preceduto (penso a proposito che oramai quasi tutto - prima o dopo - sia già stato detto) possiamo andare avanti sperando di non incorrere sempre negli stessi errori, anche se il tutto è facile a parole ma bel più difficile nei fatti.