lunedì 17 marzo 2008
Fra le mie esperienze speleologiche e di montagna, vi sono anche alcune situazioni che considero perlomeno “insolite”. Niente di particolare, fatti in molti casi spiegabili e spesso completamente chiariti, ma dei quali porto un particolare ricordo. Si tratta di piccole storie che, un po’ di tempo fa, raccontavo spesso a mia figlia ed alle sue amichette, che mi ascoltavano con gli occhioni spalancati ed in assoluto silenzio.
Uno di questi racconti - forse quello più richiesto - riguardava un avvenimento in verità abbastanza banale, ma che, sul momento, mi ha riservato qualche emozione. Io ed il mio amico Aldo Fedel stavamo da tempo organizzando delle uscite per risalire la “direttissima nord” della Presanella. Abbiamo fatto alcuni tentativi prima di riuscirci, in quanto abbiamo avuto svariati problemi causati dal maltempo e da impedimenti vari. Ricordo che in un’occasione - eravamo solamente io ed Aldo - siamo partiti da Trieste e siamo saliti verso il rifugio Denza, posto lungo i pendii est del ghiacciaio della Presanella. Dopo una lunga camminata siamo finalmente arrivati all’edificio, mentre stava quasi facendo buio. Probabilmente il rifugio era stato appena riaperto dopo la stagione invernale, perché eravamo soltanto noi due ed i gestori: una simpatica signora che faceva la cuoca e suo figlio. Vista la situazione, siamo stati subito invitati in cucina, con un’accoglienza cordiale ed un clima famigliare. Ricordo che c’erano però dei problemi al generatore di corrente, perché mancava l’energia elettrica e la stanza dove stavamo per cenare era illuminata solamente da alcune candele. L’atmosfera era serena e distesa, quasi romantica vista la luce calda delle fiammelle. Ricordo che guardavo spesso all’esterno attraverso una finestra, dalla quale ho potuto vedere gli ultimi raggi del sole che lasciavano posto alla più completa oscurità. E’ stato in quel preciso momento che, proprio da quella finestra, ho visto un’immagine che mi ha raggelato il sangue. Nel buio della notte, una sagoma si stagliava sul biancore della neve. Vicinissima al vetro, appariva una figura - che un attimo prima non c’era - che osservava l’interno del rifugio. Non capivo bene, ma potevo distinguere il profilo di una persona, con una specie di cappuccio sulla testa, che rimaneva perfettamente immobile. Sarà stata la suggestione, o i racconti che da sempre si rincorrono a riguardo dei territori dove si sono combattute delle battaglie (e l’area della Presanella si è trovata quasi sul fronte della Prima Guerra Mondiale), ma quell’immagine di un essere incappucciato che mi stava fissando, mi ha fatto molta impressione. Sembrava quasi che nel buio di quel viso si potesse intravedere lo scintillio degli occhi, che riflettevano la luce delle candele che illuminavano debolmente la stanza. Non so se gli altri hanno capito cosa stava succedendo ma, forse seguendo proprio il mio sguardo, tutti si sono voltati verso la finestra. Ed è a questo punto che il mistero del “monaco incappucciato” (è questa la prima immagine che mi è venuta in mente) ha trovato la sua logica spiegazione. La tetra figura appena al di la del vetro si è infatti mossa, inclinando la testa. Con questo movimento è scomparsa l’impressione del cappuccio ed anzi, osservando bene, è stato possibile riconoscere il profilo di due piccole orecchie rotonde. Quasi subito i due gestori hanno sorriso e la figura si è rivelata per quello che veramente era: una marmotta più curiosa delle altre che spesso faceva visita al rifugio per osservare i movimenti dei suoi strani abitanti.
Questa esperienza mi ha insegnato a non fermarmi alla prima impressione e che, prima di avere paura di qualcosa (e confesso che ci sono delle cose che mi fanno veramente paura…), è sempre meglio verificare esattamente cosa abbiamo davanti.
Quello che vi ho appena descritto è stato un piccolo avvenimento di tanti anni fa, che però ha avuto sempre il massimo successo quando raccontato ai bambini, magari davanti al fuoco di un bel camino ed esagerando un po’ con l’ambientazione inquietante e misteriosa. Ancora oggi, incontro qualche amica di mia figlia che, sorridendo, mi chiede se posso raccontare per un’ultima volta la storia del “monaco incappucciato”…
Da parte mia sono sempre disponibile.
(Foto Guglia)

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posted by Paolo at 21:59 |


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