lunedì 10 dicembre 2007
Rammentate queste parole?

Le discese ardite e le risalite
Su nel cielo aperto
E poi giù il deserto
E poi ancora in alto
Con un grande salto…

Qualcuno, specialmente fra quelli con qualche anno in più, ricorderà certamente questi versi. Non si tratta di una poesia che descrive l’attività speleologica - come potrebbe anche apparire a prima vista - ma del testo di una canzone intitolata “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” scritta nell’anno 1972 dall’indimenticabile Lucio Battisti.
Qualcuno chiederà come è possibile che mi ricordi così bene della data e la risposta è molto semplice: l’album “Il mio canto libero” è stato pubblicato qualche mese prima dell’organizzazione di una spedizione speleologica della SAS all’Antro di Corchia, in Toscana.
Per me, ancora ragazzino, il dispiego di materiali e di uomini, il lungo viaggio, la grande grotta, hanno rappresentato un momento molto importante. Il fatto poi che, durante il viaggio, venisse ascoltato più volte questo album, dove - cercando bene - c’erano anche delle frasi che potevano essere ricondotte all’uscita che si stava svolgendo, è stato elettrizzante. In seguito ho spesso citato queste parole, che mi hanno sempre evocato le aeree discese lungo le corde, le faticose risalite lungo le scale (si usava ancora così). Anche il riferimento alla luce esterna in contrapposizione al “deserto” del sottosuolo era calzante: non che l’ambiente ipogeo fosse brullo e desolato, ma certo poteva essere affrontato solamente da un numero ridotto di persone, solo se in possesso delle adeguate caratteristiche e cognizioni. Ed io allora avevo appena realizzato che, nonostante tutto, appartenevo a questa minoranza privilegiata… Infine, il grande salto verso l’esterno, il passaggio dalle tenebre alla luce, dal mondo nascosto e riservato a pochi a quello della vita di ogni giorno, quasi un percorso iniziatico, un viaggio interiore, un rituale di rinascita … Anche tralasciando le interpretazioni forse troppo azzardate, devo dire che i versi in questione contenevano tutti gli elementi necessari ad infiammare la fantasia di un adolescente in subbuglio.
In ogni caso, oggi, si canta meno. Un tempo non si perdeva occasione per cimentarsi in cori e duetti, ed ogni “location” era quella buona: davanti ad un buon bicchiere di vino o in attesa del proprio turno in grotta. Forse i tempi più allungati di allora nelle discese speleologiche erano maggiormente adatti alle discipline canore, ma ricordo ore di interminabili concerti, che spaziavano in tutti i generi musicali possibili, dalle canzoni folcloristiche a quelle di montagna, dai pezzi dei cantautori a quelli più orecchiabili di attualità.
Al giorno d’oggi, invece, c’è solo qualche cantatina sguaiata, in dialetto triestino, con annesse parolacce e pesanti doppi sensi...
Anche questo - forse - è il segno di una certa decadenza della speleologia.

Restando in tema, la foto ritrae il gruppo della SAS fuori dall'Antro del Corchia (il primo a sinistra sono io...).

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posted by Paolo at 20:02 |


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